TORINO – L’aula magna della residenza universitaria EDISU Piemonte di piazza Cavour a Torino ha ospitato nella giornata di sabato 17 novembre il convegno “Oltre la diagnosi c’è la vita. Innovazione sociale a misura di Alzheimer” organizzato dalla società cooperativa Passo dopo Passo di Condove in collaborazione con l’ASL TO3 e patrocinato dalla Città Metropolitana di Torino e dalla Regione Piemonte.
La giornata, divisa in due parti una più teorica e l’altra pratica, ha visto quali relatori: Davide Danza direttore RSA e formatore, la neuropsicologa Barbara Capellero, le assistenti sociali Gabriella Braggion, Paola Sderci e Claudia Arcabascio, il coordinatore del Centro Deficit Cognitivi e Demenze dell’ASL TO3 Silvio Venuti, Franco Ferlisi presidente di A.I.M.A. Biella, la tanatologa Daniela Muggia e la presidente di Infine Onlus Marina Sozzi intervenuta tramite videomessaggio.
Il punto focale del seminario è stato il ruolo delle famiglie che assistono i malati di Alzheimer e l’importanza delle strutture e degli operatori che accompagnano malati e familiari, dalla diagnosi all’elaborazione del lutto.
“Chi accudisce un malato di Alzheimer deve essere supportato fin dal primo momento per questo è fondamentale strutturare un percorso coordinato di accoglienza che coinvolga sia le famiglie sia gli operatori- ha commentato il dottor Venuti dell’ASL TO3 – è necessario mettere insieme le competenze di tutti, da quelle degli operatori a quelle delle famiglie, così da potersi scambiare nuove prassi e far si che l’esperienza di uno diventi l’esperienza di molti”.
Un convegno che ha dato voce alla malattia privilegiando il punto di vista sociale, delle relazioni familiari e della rete dei servizi, non escludendo la parte sanitaria, ma mettendo in luce che al di là della cura del malato è necessario sostenere e supportare l’intera rete familiare, in prima linea tutti i giorni. Durante la giornata, a cui hanno partecipato attivamente professionisti, esponenti del terzo settore e caregivers, sono state portate numerose domande, suggestioni e vissuti personali. Tutto questo ha contribuito all’apertura del dialogo tra associazioni di caregivers e sanità pubblica, a dimostrazione di quanto sia fondamentale un lavoro reciproco per poter creare una rete che possa aiutare concretamente i familiari e il malato. Oltre alla rete dei servizi formale e informale, particolare attenzione è stata posta sull’importanza del rafforzamento del “community care”: solo con una comunità più coesa e attenta ai suoi bisogni, si può parlare di una comunità in grado di aiutare se stessa.
“Il significato di “Oltre la diagnosi c’è la vita” è proprio questo: una volta presa coscienza della malattia è necessario reagire, continuare, far sì che la vita di tutti i giorni possa essere il più possibile la stessa, che i familiari non si sentano soli. Vuol dire creare legami di supporto con tutte le realtà presenti sul territorio”, concludono gli organizzatori del convegno.
(Informazione pubblicitaria a cura della New Press – Testo e foto di Dora Mercurio)