di PAOLA TESIO
AVIGLIANA – Proviamo emozioni smarrendoci in un paesaggio, lasciando che il nostro sguardo si sposti sulla distesa che stiamo osservando e quell’immagine collega il nostro percepire ad uno stato interiore, allo stesso modo proviamo emozioni quando osserviamo il volto della persona che ci sta di fronte e persino nel momento in cui ci troviamo di fronte ad un’opera d’arte. Anche l’incontro con l’esperienza estetica, un quadro, un film, una fotografia, produce un’attivazione.
Il lavoro portato avanti con passione dalla docente di fotografia Claudia Lo Stimolo, che si è avvalsa della collaborazione della psicologa e psicoterapeuta Simona Giovanditti, facilitatrice del metodo Spex®, riveste notevole interesse in tal senso poiché coniuga il tema delle emozioni e delle relative espressioni con l’esperienza estetica, che si rispecchia non soltanto nel sé ma altresì nel riguardante che vive indirettamente quelle emozioni esperite, che divengono vissuto dell’alterità ma anche suo, riuscendo a empatizzare gli istanti provati dagli allievi durante le loro performance.
Il metodo Spex® acronimo di The Self-Portrait Experience è stato ideato dall’artista Cristina Nuñez nel 2004, coniugando il vissuto autobiografico dei soggetti con la fotografia e il video, per indagare la trasformazione individuale e sociale, idea che nasce dalla sua intima e personale pratica con l’autoritratto per superare l’auto-stigma risultante dalla dipendenza in adolescenza: «Per secoli ci hanno educati a sopprimere le nostre emozioni. Ci è stato detto che sentire non va bene, che se provi emozioni forti, hai qualcosa di sbagliato. Se sopprimiamo le nostre emozioni, non sapremo mai di cosa abbiamo bisogno veramente, dato che le emozioni dolorose ci comunicano la presenza di bisogni insoddisfatti che richiedono la nostra attenzione. Trasformare queste emozioni in arte ci permette di guardarle, riconoscerle, capire questi bisogni insoddisfatti e condividere le nostre opere d’arte con gli altri, per favorire l’identificazione invece del giudizio, della dissociazione e dell’alienazione. La società contemporanea assegna etichette alle persone, e la maggior parte di noi crede che possiamo definirci, ignorando la meravigliosa plasticità e molteplicità dell’identità umana. Carl Gustav Jung affermò che la psiche è un sistema omeostatico, nel quale il materiale dell’inconscio personale e collettivo dovrebbe fluire verso la coscienza e viceversa. Quando permettiamo alle nostre emozioni di trovare un’espressione artistica, prendiamo coscienza, ci sentiamo liberati e liberi di esplorare il nostro pieno potenziale e di compiere la nostra missione su questo pianeta. Siamo liberi di alimentare il nostro inestinguibile fuoco interiore. Se le persone diventassero sempre più coscienti delle proprie emozioni e necessità autentiche, l’essere umano sarebbe più rispettoso delle emozioni e dei bisogni altrui, e di quelli del pianeta, invece che concentrarsi sui beni materiali, sul potere e sulla crescita economica».
Come sottolinea la docente e fotografa Claudia Lo Stimolo che ha desiderato fortemente il progetto: «Mi sono resa conto che la scuola può essere un laboratorio di emozioni, un luogo sicuro per sperimentare insieme ai ragazzi delle modalità creative che possano coinvolgerli utilizzando, anche attraverso la fotografia, il loro linguaggio espressivo carico di potenzialità. Nella mia esperienza di insegnante ho compreso sin da subito che i ragazzi vadano ascoltati, soprattutto in un periodo come quello attuale: mi cercavano, raccontavano le loro esperienze di vita attraverso le parole ed immagini, rendendomi partecipe e al contempo orgogliosa del loro entusiasmo e della voglia di fare. Così avendo io stessa partecipato ad un workshop sul metodo Spex® con la psicologa Simona Giovanditti ho pensato di proporre una serie di incontri che abbiamo realizzato apposta per loro, per tirare fuori quelle emozioni negative che talvolta si tengono dentro cercando di dare spazio e voce alle loro esperienze».
«Cosa succede quando ci troviamo davanti ad uno specchio d’acqua? – spiega la psicologa Simona Giovanditti – Possiamo rifletterci e specchiarci, come Narciso, ma anche intuire che sotto la superficie ci sono misteri nascosti ad un primo sguardo. E cosa succede quando rimaniamo da soli davanti all’obiettivo di una macchina fotografica? Diventiamo vulnerabili, le emozioni fluiscono incontrollate e possiamo trasformarle in opere d’arte», dodici adolescenti hanno utilizzato la pratica dell’autoritratto come strumento di conoscenza di sé e come mezzo per connettersi agli altri: «Hanno avuto l’occasione di riflettere sulla propria identità ed hanno usato la propria immagine per esplorare le molteplici ed infinite potenzialità del Sé. Hanno anche indagato le proprie relazioni significative con gli altri, famiglia e amici, ma anche con il mondo cui appartengono, per richiamare l’attenzione di adulti e coetanei sulla realtà e sui bisogni dell’essere umano».
Nel progetto realizzato dagli studenti del Des Ambrois di Oulx sono stati proposti alcuni temi di indagine: emozioni, autoritratto quotidiano, cambiare pelle, corpo, dialoghi, facce, I feel about war, io senza me, luogo, personaggio, io e l’altro, io e il mondo.
Attraverso l’ascolto delle proprie emozioni si è coniugato il processo creativo nell’intimità del proprio conoscersi con l’invito di trovare uno spazio significativo ed esteticamente interessante: un momento di solitudine e raccoglimento in cui rappresentare il proprio sé in modo artistico soffermandosi su di un particolare del volto, del corpo oppure l’interezza della propria figura, in modo naturale senza ricorrere al trucco o ad artificiosità. È stato chiesto di provare ad interpretare emozioni quali: rabbia, disperazione, terrore o gioia profonda, facendo emergere il proprio io creativo e consentendone il fluire.
Facendo un parallelismo in ambito teatrale sovviene la figura di Konstantin Sergeevič Stanislavskij che aveva posto le basi dell’immedesimazione nell’arte della recitazione psicotecnica in cui mediante l’interpretazione insegnò ad esternare le emozioni interiori per renderle reali sulla scena. Allo stesso modo i ragazzi hanno così potuto far emergere quel sentire difficile da manifestare di fronte ad un obiettivo, iniziando a recitare: «Non preoccuparti se sembra falso, cerca soltanto di esternare l’emozione mentre ascolti le sensazioni che provi in quel momento. Se altre emozioni vengono fuori, lasciale uscire liberamente mentre scatti. Per cui recita, non per la macchina fotografica, ma per “chiamare” l’emozione autentica».
La trasposizione artistica che man mano si afferma diviene così una intensa indagine interiore che si trasforma in creazione estetica, fungendo da esperienza per sondare il proprio animo.
Autoritratto quotidiano è un esercizio di fotografia scattata al mattino appena svegli, prima di fare qualsiasi altra cosa, quando le difese sono ancora “assopite” e l’inconscio parla attraverso il volto.
Cambiare pelle, di cui compaiono le immagini con incursioni cromatiche ed artistiche sul viso, prevede il fotografarsi colorando la propria pelle di una tonalità differente.
Sul tema del corpo è stato suggerito un incontro con la propria esteriorità, il cui scopo non era sentirsi belli a seconda dei canoni imposti dal mercato bensì mostrare un’immagine della propria corporeità tradotta nella naturalezza espressiva, che diviene armoniosamente sublime poiché in grado di esprimere emozioni e stati d’animo, un concetto che si potrebbe definire di “ben-essere”: lavorare sul corpo nudo, dove la svestizione di arredi ed ornamenti indica altresì in senso metaforico la semplicità di essere sé stessi nell’ascolto di intimi pensieri, emozioni e sensazioni. Può capitare di percepire insicurezza o non sentirsi in agio con la nudĭtas del proprio corpo, ma questa sensazione viene superata nell’esplorazione della naturale esteriorità ritratta per intero o soltanto in parte nelle rivelazioni che gli autori hanno saputo restituire.
In dialoghi: alcune immagini sembrano parlare tra di loro e acquistano un senso diverso se sono accostate: «Immaginiamo una storia, una relazione, un dialogo tra le due persone».
Nel personaggio l’invito verte sulla scelta di una persona da rappresentare immaginando scenografia e regia, osservando le sue sembianze e cercando di interpretarne la comunicazione non verbale: un lavoro sull’attore che lo interpreta che è anche uno sguardo su di sé. Il traporto artistico come avvicinamento al personaggio si compie nel saper interpretare.
In facce l’attenzione viene portata sul proprio volto nell’intento di fare provare diverse espressioni: «Fotografa il tuo volto facendo le facce più strane, in modo da risultare irriconoscibile. Scegli le immagini più inconsuete e lavora sulle molteplici percezioni».
Mediante I feel about war la realizzazione di una foto diventa il simbolo per rappresentare il proprio sentimento nei confronti della guerra, di tutte le guerre. Attraverso questo lavoro è stata scelta l’immagine rappresentativa della copertina del catalogo nel volto della studentessa ucraina che nell’immedesimarsi in questa situazione ha ripensato alla sua terra e alle persone care nel recente conflitto.
In Io senza me l’ispirazione è data dal fotografare paesaggi naturali, privi di persone, scorci, oggetti, scritte oppure immagini astratte: «In cui non si capisca che cosa sia realmente il soggetto». Gli autori hanno potuto scegliere a priori la scena da fotografare oppure muoversi liberamente negli spazi seguendo la danza della propria interiorità, con la fotocamera in mano, intessendo una ricerca di immagini in grado di lasciare fluire liberamente ed immortalare il fiorire della ricerca creativa.
Nel luogo si sospinge ad esplorare posti significativi sia essi quelli amati sia quelli più ostili: «Se è un luogo che ti provoca emozioni difficili, l’esercizio sarà ancora più catartico» suggerendo la sfida nel superare i propri limiti, tensioni e vulnerabilità che possono diventare fattori positivi nell’esperienza estetica e nella realizzazione dello scatto, liberando in tal modo la percezione di ogni ostacolo.
In io e l’altro si assiste alla messa in opera della realizzazione di autoritratti relazionali tra due persone; una fase successiva rispetto al lavoro di introspezione. Gli spazi possono essere luoghi abbandonati, discariche, qualunque idea che possa far risaltare la reciprocità della relazione siano essi volti famigliari siano della propria rete sociale. Nel silenzio dello scatto acquisisce così vita la comunicazione non verbale intrisa di sguardi, movenze, gesti in un gioco di incontri nel reciproco riconoscimento lasciando trapelare nell’immagine questi momenti.
Io e mondo prevede una ricerca, successiva alla fase precedente, declinando l’esperienza verso l’alterità più estesa allargando l’orizzonte dai gruppi famigliari a cui si appartiene ai compagni, agli amici fino alla comunità sconosciuta, nell’esplorazione del proprio atteggiamento in ambienti urbanizzati: una strada, la stazione, la città, un paese lontano, tra la folla.
«Aspetti della casa in fiamme e interessi, così ci sono diversi punti di vista da cui si può considerare l’emozione umana».
Oggi sappiamo, grazie al meccanismo dei neuroni a specchio, che siamo in grado di comprendere l’esperienza soggettiva delle sensazioni ed emozioni anche quando sono provate dagli altri. Attraverso l’empatia siamo infatti in grado di coniugare la dimensione dell’alterità con quella dell’individualità.
Riconoscere le proprie emozioni e sapere leggere quelle degli altri, educare alle emozioni, comprendere che le emozioni si manifestano anche nel corpo sono passi fondamentali che aiutano nella comprensione, dal conoscere meglio se stessi, all’identificarsi nel sentire altrui. Temi che hanno interessato psicologi, filosofi, letterati, artisti, musicisti… Viviamo ogni giorno emozioni!
Platone nell’Alcibiade I lascia emergere dalla voce di Socrate una riflessione lungimirante: «Hai osservato che a guardare qualcuno negli occhi si scorge il volto nell’occhio di chi sta di faccia, come in uno specchio, che noi chiamiamo pupilla, perché è quasi un’immagine di colui che la guarda?».
Le opere dei ragazzi aprono una finestra sul mondo, affrontano e svelano le loro emozioni attraverso immagini cariche di significato. Per comprenderle occorre osservarle empaticamente, in ascolto attivo e condiviso affinché le loro parole, i loro bisogni, le loro paure e i loro sogni non restino senza risposta e il richiamo di Narciso (individualità senza alterità) il quale si dispera, struggendosi, nascondendo il proprio intimo sentire, non rimanga soltanto un eco solipsistico, incarnate il mancato riconoscimento di sé e degli altri, ma divenga il dialogo del reciproco riconoscimento.
La mostra dopo l’inaugurazione presso l’Istituto Des Ambrois tenutasi lo scorso 24 maggio alla presenza di docenti e studenti sarà visitabile per tutti dal 27 maggio fino al 10 giugno presso l’Auditorium del Cinema Fassino di Avigliana.