dal COMUNE DI BARDONECCHIA
BARDONECCHIA – Nella mattinata di lunedì 25 aprile si è svolta al Parco Vittorio Veneto di via 3° Reggimento Alpini una semplice cerimonia per festeggiare il settantasettesimo anniversario della Liberazione d’Italia dalla dittatura nazi-fascista. Alzabandiera, inno di Mameli, deposizione di una corona d’alloro, benedetta da don Franco Tonda, parroco del capoluogo con a seguire una breve prolusione della Sindaca Chiara Rossetti, con a fianco gli assessori e i consiglieri comunali di maggioranza.
La sindaca di Bardonecchia dopo aver ringraziato il parroco e tutti i partecipanti, in particolare le Associazioni Combattentistiche, i rappresentanti delle Forze Armate, dell’ANA e dell’ANPI, la Polizia Municipale, ha sottolineato i profondi valori della giornata con un richiamo all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, auspicando la fine delle ostilità e il pronto ritorno alla pace.
Un po’ deluso per la scarsa partecipazione della popolazione alla cerimonia, probabilmente intimorita dalle conseguenze degli ammassamenti, anche Giulio Tournoud, classe 1931, nome di battaglia “Lupo solitario”, poi alpino della Taurinense e autista, preziosa memoria storica, presente in divisa dell’Associazione Nazionale Alpini, che così ricorda la “sua Resistenza”.
Le parole di Tournoud: “Ai tempi venne stilata una lista dei partigiani di Bardonecchia che cadde nelle mani dei tedeschi, che dopo una retata li caricarono sui carri merci e li inviarono ai campi di concentramento in Germania. Dei trenta bardonecchiesi partiti ben pochi tornarono a casa vivi. Mio fratello Nello, onde evitare rappresaglie indiscriminate sulla popolazione, si consegnò ai tedeschi, ma non venne deportato. L’allora comandante tedesco della piazza di Bardonecchia di origini altoatesine, dai modi più umani rispetto alla maggior parte dei suoi connazionali, lo spedì a difendere l’ingresso del traforo ferroviario del Frejus evitandogli così un viaggio quasi sicuramente senza ritorno. Io, ci tengo a sottolineare, non ho mai ucciso nessuno anche se ero pronto a farlo, sono sfuggito più volte alla cattura e alla deportazione. Nel freddo e particolarmente innevato inverno 1944-1945 e nella primavera del ’45 ero pronto insieme ad alcuni coscritti a combattere e a contrastare la ritirata delle truppe tedesche verso Torino commettendo atti di sabotaggio ed in particolare a far saltare i ponti. Non si fece nulla perché i tedeschi avvisarono la popolazione della Conca che in caso di sabotaggi oppure gravi atti ostili non avrebbero esitato a puntare i cannoni del Forte Bramafam sul paese, provocando una strage di civili. Ben vengano cerimonie come questa per testimoniare un periodo durante il quale abbiamo rischiato la pelle in nome di ciò che credevamo giusto fare”.