di ANDREA MUSACCHIO
TORINO – ValsusaOggi ha intervistato uno dei massimi esperti italiani delle infezioni virali. il professore Giovanni Di Perri, responsabile delle malattie infettive presso l’ospedale Amedeo di Savoia di Torino. Con lui abbiamo commentato l’emergenza sanitaria che sta colpendo l’Italia e le restrizioni emanate dal Dpcm dell’11 marzo, finendo con un appello importante: la raccolta fondi per l’ospedale Amedeo di Savoia.
Al momento lo stato d’animo di medici, infermieri e addetti ai lavori è “di grande impegno emotivo”, come spiega Di Ferri ai microfoni di ValsusaOggi: “Ci siamo resi conto, e magari in un’atmosfera che inizia ad irrigidirsi solamente adesso, che questi saranno i due mesi più difficili della storia Repubblicana. Purtroppo, l’epidemia si sovrappone a quella che è una consueta sofferenza stagionale, legata a quelle cosiddette malattie da raffreddamento, in primis l’influenza. È una cosa molto seria. Abbiamo colleghi, anche giovani, che sono ricoverati (seppur in minoranza). Abbiamo persone, con meno di 50 anni, che sono in rianimazione e quindi hanno bisogno di assistenza respiratoria, altrimenti non riescono a respirare bene da soli”.
Il professore non nasconde la sua preoccupazione: “È un panorama che nessuno di noi avrebbe nemmeno immaginato, e che purtroppo riproduce, con la variante dell’alta riproducibilità, quella che è stata già la Sars. Magari i più giovani non la ricordano, ma nel 2002/03 fu lo spettro di una polmonite assassina, che ebbe una mortalità del 10% con almeno 9mila casi. Purtroppo, qui, i 9000 casi li facciamo in un giorno tra un po’. Oltre a paralizzare un’intera città e a dare un segnale iconografico di sofferenza civile, oltre che medica, ha creato un’atmosfera che per quanto ci riguarda è molto severa e molto triste. Non dobbiamo mollare, dobbiamo continuare a fare il nostro lavoro“.
Per Di Perri, la scelta del premier Conte di chiudere tutti i negozi, tranne quelli per i beni di prima necessità, è l’unica soluzione per uscire da questa situazione di emergenza sanitaria: “Se riusciamo a tenere la gente a casa, potremmo vedere dei risultati relativamente presto. A Codogno, adesso, sembrano esserci pochissimi casi nuovi, in quanto hanno adottato una procedura di distanziamento sociale molto rigorosa. Stiamo cercando di riproporre questa procedura a livello nazionale. Le regioni che sono state poco colpite, potrebbero avvantaggiarsene più di altre. Da questo punto di vista, speriamo di arrivare ad un inizio di discesa, dei casi nuovi giornalieri, all’inizio di aprile. E poi bisognerà consolidare la situazione. Bisognerà rimanere in questo stato anche quando si avranno risultati favorevoli. Il pericolo è quello di abbassare troppo presto la guardia. Abbiamo una settimana indietro di noi: Francia, Germania e Spagna. Per cui una sua reintroduzione è molto facile. Magari tra due mesi, due mesi e mezzo, rialzeremo la testa“.
Alcuni giorni fa, ci fu l’invito ai turisti di popolare le montagne valsusine. Una scelta sbagliata? Questo il commento del virologo: “La densità dei centri urbani può favorire il contagio, magari in montagna si riesce a diminuire di più. Ma è chiaro che non bisogna incontrare gli altri. Fino a 3 giorni fa c’erano scene di pranzi, feste ecc. Qui, le dico la verità, la situazione è molto dura. È vero che rischiano molto più gli anziani, ma sono tanti i 50enni, 40enni a rischio. Ho appena ricoverato un amico con 10 anni in meno di me. Sono molto preoccupato“.
Infine, è partita una raccolta fondi per sostenere l’ospedale Amedeo di Savoia: “In questo momento bisogna reclutare alcune risorse. Con la raccolta fondi si cerca di comprare mascherine in paesi che le riproducono, magari fuori dai mercati non convenzionali. Si cerca di recuperare respiratori, per quella che è un’assistenza ventilatoria semi o sub-intensiva, che la si può fare anche al di fuori dello stretto contesto rianimatorio. Si cerca di reclutare nuovi apparecchi, che ci permettano di testare più velocemente tutto ciò che è da testare. Cerchiamo e dobbiamo farlo con l’iniziativa privata. Nessuno di noi è preparato ad affrontare una situazione del genere. Con la raccolta fondi si cerca di dare all’ospedale quello strumento che riesca a dare una migliore assistenza un po’ a tutti. Nella catena degli eventi, anche un solo elemento riesce a migliorare il flusso che va dal ricovero, all’assistenza, all’assistenza intensiva, alla dimissione e alla domiciliazione. Liberando, quindi, un posto letto a chi ne ha bisogno. La sensibilità dei cittadini è molto importante, anche a livello emotivo. Sostenere chi, con 1500 euro, rischia la propria vita con delle mascherine che non sono il meglio che possa avere… beh forse gli va riconosciuto“.
Per chi volesse sostenere l’ospedale torinese, può fare una donazione all’Associazione Onlus Anlaids Piemonte, associazione con bilancio pubblico, che fa parte del network nazionale Anlaids: “Questa associazione è da sempre al fianco dei medici infettivologi, ed il suo nome tradisce la sua origine ai tempi dell’emergenza Hiv/Aids. Si tratta di un partner affidabilissimo e di una vera Onlus, nel senso che spende tutte le sue risorse per fini di assistenza. Il vice presidente è la dottoressa Laura Trentini, mia assistente qui all’Ospedale Amedeo di Savoia” ha concluso il professore Giovanni Di Perri.
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