GIAVENO – L’arrivo nella città della Valsangone di 24 nuovi immigrati da accogliere sta sollevando polemiche e proteste. Ma cosa fanno tutti i giorni? E chi si occupa di loro?
ValsusaOggi è andata quindi in borgata Buffa, per vedere dove e come vivono i nuovi profughi, proprio sabato pomeriggio. Arriviamo la casa di riposo diventata ormai centro di accoglienza: è la “Casa San Giovanna Antida, suore della Carità” in via Vittorio Emanuele. E passando davanti al cancello, si sentono voci da una finestra : “… and now repeat with me: mother-MADRE, father-PADRE…”.
LA CASA DI RIPOSO DIVENTATA CENTRO PER I PROFUGHI
Ad accoglierci c’è Paola Raseri, psicologa e coordinatrice del progetto di accoglienza, che, dopo le presentazioni, ci porta a visitare la struttura. “Se vedi cose strane in giro non ti preoccupare”, si scusa accennando a degli spazzoloni da water nuovi in un angolo del pianerottolo, “c’è molto lavoro da fare, e siamo in pochi. Quella che sentivi dalla finestra era una volontaria della Croce Rossa, Francesca, sta tenendo lezione di Italiano. Oh, si vengo ad aprirti!” dice a un ragazzo che sta andando via “Arrivo subito aspetta qua.”
Ne approfittiamo per andare fino in fondo al corridoio, da dove si sentivano gli echi della lezione che continuava, per fare arrivare nella stanza dove la volontaria della Croce Rossa sta spiegando i gradi di parentela in Italiano ad una “classe” formata da una decina di uomini dai tratti medio-orientali.
Poi notiamo davanti a una stanza con la porta aperta in cui scorgo degli africani sui 20- 30 anni. “Hi guys!” azzardo. “Hi…” rispondono insicuri. Chiedo se posso entrare a fare due chiacchiere (non sembravano molto occupati); mi fanno cenno di sì, e ci presentiamo. La conversazione si svolge in inglese.
Tutto d’un tratto, dopo qualche domanda sulla loro sistemazione a cui rispondono timidamente e a monosillabi, uno di loro, che si chiaam Umar Alì, prende la parola: “Io non volevo venire qua. Non era il mio sogno venire qua, non era nei miei piani… La barca, il viaggio… Un inferno. Ma la mia famiglia, dovevo…”
Alì ha 29 anni e viene dalla Nigeria: è uno dei tanti la cui disperazione ha spinto a mettere a repentaglio la sua stessa vita per aiutare la sua famiglia. Continua a racontare dei suoi viaggi e del degrado di dove è nato, mentre nel frattempo la Rasero è tornata e sta guardando dal ciglio della porta. “Sono arrivati tutti lunedì. Ci sono 4 africani, e sono cristiani. Gli altri 20 vengono tutti dal Bangladesh e sono musulmani. In questo centro ospitiamo solo uomini, i sessi vengono tenuti separati per evitare problemi”. E cosa fanno qui? “Le loro giornate si suddividono in studio della lingua italiana , per cui si dimostrano molto intressati, e lavori qua nel centro, nell’attesa che gli si trovi degli impieghi socialmente utili”.
L’edificio è una struttura a tre piani, in origine i proprietari avevano in mente di farne una casa di riposo per anziani. “Poi però – spiega Paola – hanno preferito affittarlo alla nostra cooperativa sociale “6-1-0”. Siamo in collaborazione con la comunità Murialdo di Torino. Il nostro obiettivo è riuscire integrare queste persone nel nostro paese e cercare di renderle il più autonome possibile. Non è facile intermediare tra due culture tanto diverse, ma è solo questione di tempo e di imparare a conoscersi”.
Interrogata sui rapporti che intrattengono con le comunità locali, la Rasero risponde che il loro referente per Giaveno è la vicesindaco Calvo, ma che l’istituzione del centro arriva dalla prefettura, e che loro sono totalmente indipendenti dal comune. “I finanziamenti che riceviamo provengono tutti dall’Unione Europea, siamo autonomi. Per ora stiamo prendendo contatti con le attività del territorio per i servizi: abbiamo già fatto una convenzione con una macelleria di Giaveno per le forniture di carne (esclusivamente e rigorosamente pollo). Anche l’A.I.B. di Giaveno si è dimostrato solidale, ogni mattina ci portano gli avanzi della sera precedente da “Agnolot e Tajarin”, anche se per motivi culturali non possiamo sfruttare tutto il cibo che portano. Abbiamo buoni rapporti pure con le suore dell’istituto adiacente. In futuro abbiamo intenzione di organizzare incontri con la popolazione giavenese per favorire l’integrazione di queste persone”.
Quanto rimarranno a Giaveno? “Da un minimo di un anno e mezzo, che è il tempo necessario prima che possano ottenere l’asilo politico, a un massimo di 3 se non gli venisse concesso” risponde. Ne sono in arrivo altri a Giaveno?” “Ci è stato detto di si… – aggiunge – ma questa struttura non è adatta a un numero troppo alto di persone, speriamo se ne rendano conto; in caso contrario si complicherebbe tutto”
Il giro si conclude e torniamo nel cortile, dove ci raggiunge Francesca, la volontaria della Croce Rossa, che ha appena terminato la lezione di italiano. Lei si è specializzata nell’insegnamento dell’Italiano agli immigrati, e per ora, insieme a Paola Rasero, si occupa del centro
Siete solo voi due? “Ufficialmente si – rispondono – ma a volte ci facciamo aiutare dalle nostre famiglie. Per esempio oggi son venuti i miei figli ad aiutarci a montare dei letti… La verità è che c’è tanto lavoro e pochi mezzi, quindi lanciamo anche un appello a chiunque abbia voglia di aiutarci in questa impresa, sia con manodopera che con donazioni di roba usata. Questa gente ne ha bisogno”.
In cortile c’è la partitella a calcio di quattro di questi ragazzi, che nel frattempo hanno cominciato a giocare nel cortile; poi ci salutiamo.
L’OPINIONE DELLA GENTE DI BORGATA BUFFA
Ma la gente, a borgata Buffa, cosa ne pensa del fatto di avere una comunità di profughi a due passi da casa? Lo chiediamo entrando nella storica “Trattoria della Buffa”, dove il proprietario Stefano stava chiacchierando con dei clienti. “Mandiamoli tutti a’ffanculo – esordisce prontamente un signore di mezz’età – si! E ora dimmi pure che sono razzista!” risponde senza preoccuparsi di argomentare la sua opinione.
“Non sono razzista – dice invece il gestore – neanche mi preoccupa averli qua vicino, è gente sfortunata che ha bisogno di aiuto, e da quando sono arrivati non li abbiamo nè visti nè sentiti. Quello che mi preoccupa è che anzichè agire sui motivi che spingono queste persone a lasciare il loro paese continuiamo a tamponarne gli effetti. Ciò di cui c’è davvero biogno è, secondo me, una politica internazionale per aiutarli a casa loro”.
Renzo, un cliente, si dimostra invece meno tollerante: “Che stiano a casa loro, qua di problemi ne abbiamo già abbastanza da soli. Secondo me non gli dovremmo neanche permettere di attraccare sulle nostre coste. Cos’è dobbiamo farci carico noi di tutti i problemi degli altri? Come se non ne avessimo già abbastanza!”.
Questa dichiarazine ispira a Stefano un’osservazione: “Vedi, il problema è che l’Italiano medio vive situazioni difficili di questi tempi… Capisci? E’ una questione di priorità, di Italiani che non ricevono ne aiuti ne assistenza ma li vedono ricevere da stranieri in casa loro… Lo so che tutti gli aiuti provengono dall’Europa, ma questa situazione non ci mette nell’ottica di volerli aiutare. Però non ce l’abbiamo con loro.”
Intervistiamo anche anche un gruppo di ragazzi di 18-19 anni, su come bisogna comportarsi coi profughi: “Dobbiamo mandarli a fanculo…” risponde Umberto, 18 anni, suscitando l’ilarità dei presenti, compresa la mia per la bizzarra coincidenza con la risposta che aveva dato un altro al bar. “Non è che sono proprio razzista, però non sono per niente d’accordo che vengano qua, ci rubino il lavoro… Quando lo trovano! Che se no si danno alla criminalità! Non puoi venire nel mio paese a rubare, scusa.”
“E poi ce ne son troppi” aggiunge Giovanna, 17 anni (nome di fantasia). “Non si riesce più a gestirli! E poi gli italiani hanno tanti di quei problemi che non si mettono a pensare anche a quelli degli altri”.
Scendendo verso il centro di Giaveno, incrociamo una coppia di coniugi a piedi: “Poverini, povera gente, mi fanno pena… Li dobbiamo aiutare ma non così, dovremmo farlo a casa loro, se no non cambierà niente. E noi? A noi nessuno ci aiuta per i nostri problemi, eppure siamo pieni!” dichiara la signora R. . “Averli così vicino a casa vi preoccupa?” “Noi non siamo di qua, siamo di Coazze… Lì gli immigrati ci sono già da tempo, ma non siamo preoccupati, non ci hanno mai dato fastidio.”
“Bisogna trovare una dimensione” interviene il signor R. “C’è qualcosa di sbagliato nei provvedimenti che vengono presi, il problema non è affrontato come si deve. Ora sono arrivati questi, poi ne arriveranno degli altri, e poi? Il comune dovrà pensare anche a loro!”.
Al bar “Nepenta”, Erika, la proprietaria, 23 anni, spiega: “Non sono molto informata… Cioè sull’immigrazione ok, però di questi che sono arrivati a Giaveno non so nulla, né come sono sistemati, dove stanno, cosa fanno…Penso che la cosa avrebbe un senso soltanto se diventassero membri attivi nella comunità e, in quanto tali, contribuissero lavorando o svolgendo lavori socialmente utili. Se invece la loro presenza qui venisse strumentalizzata o non fatta fruttare sarebbe uno spreco di risorse. Dovremmo cercare di dargli le risorse per essere autonomi, poi una volta avvenuto ciò la loro presenza non mi proccuperebbe più, c’è sempre tanto da imparare!”.
Questi immigrati devono capire che gli stiamo dando un aiuto e che in cambio loro devono:
1)adattarsi ed uniformarsi ai nostri usi, costumi e regole perchè qui non siamo in Africa
2) se vogliono la pagnotta ed il letto devono lavorare (nulla è dovuto), un falcetto e un badile a testa e via a risistemare tutte le strade di montagna ed a pulire tutti i boschi che l’incuria negli anni ha trasformato in porcili a cielo aperto. Nessuna paga ma vitto e alloggio in cambio del lavoro.
3) avere il massimo rispetto e riconoscenza verso gli italiani chi ha la minima pretesa deve essere rispedito in Africa con biglietto di sola andata.
Spero di aver letto male.la cooperativa chiede aiuto ai cittadini per montare i letti e sistemare l a struttura ai profughi mentre questi giocano a pallone in cortile? Ma stiamo scherzando?
per quel che vedo e quel che leggo mi chiedo , mio dio in mano a chi siamo finiti per trovarci in questo casino degrado totale, se parlo o penso male sugli stranieri vengo etichettato RAZZISTA, se parlo dei problemi italiani che ci sono, si allargano le braccia ,è ma non ci sono soldi, qui qualcuno prende per il culo a parole il popolo italiano, scoppierà una baruffa tra migranti ed il popolo italiano, sarà impossibile evitarla, la storia ci insegna che mettendo dei poveri molto poveri in mezzo a gente che sta bene, vivacchia, accade come un accampamento ROM, rubano scippano violentano e non producono utilità per il popolo italiano, mentre il popolo italiano le paga vitto alloggio cibo vestiari, tutte cose che non vengono più riconosciute al popolo italiano per riconoscerle al popolo extracomunitario, quindi chi è il RAZZISTA?, vorrei tanto poter diventare EXTRACOMUNITARIO per poter essere ASSISTITO senza fare un cazzo tutto il giorno……….
a pranzo è pronto a cena è pronto ?, il telefono e scarico, soldi ? merenda?, se questo è il metodo con cui vogliono far crescere l’italia e fallimentare , questi non lavorano , abbatterano le buste paga gia magre del popolo italiano, perchè lavoreranno per 3 euro l’ora se va bene essendo in tanti, quindi troveremo che l’italiano sara il prossimo povero, con tutto sotto sequestro… mi domando ma dovremmo iniziare ad andare a RUBARE, per pagare le tasse, o per andare in galera a farci dare vitto ed alloggio, mentre gli extracomunitari vivranno e lavoreranno in italia , questo davvero non mi è ancora chiaro, ma sta prendendo bene forma, quando il barile italiano sarà stracolmo di extracomunitari, darete lo ro i documenti a tutti con diritto di voto ? e questo che state facendo PD di merda..!
Non e razzismo ….soltanto paura di tutto quello che sucede. Pensa che io sn straniera sposata cn un italiano vorrei che l ‘ italia uscise dal europa , cosi puo gestire le cose …premeto che nn sn citadina italiana anche se sn sposata cn un italiano ma vorrei bene per la sicurezza del italia ….. nn sn razzista pero credetimi tutto quello che sucede nn e bello …
Cominciamo con l’aiutare gli Italiani terremotati, sfrattati, disoccupati che devono dormire in roulotte o neanche quella, diamo a loro un tetto sopra la testa e aiuto. Se proprio abbiamo tanti soldi in Italia ma non mi sembra, aiutiamo le popolazioni straniere che hanno bisogno a casa loro ci costerebbe molto meno, ma a ben guardare a quanto sembra c’è un grosso business e un piano politico di ingressi voluti…
Ma di quando è questo reportage visto che la Signora Raseri non lavora più alla Buffa anzi non le è nemmeno permesso di entrare a salutare i richiedenti asilo che ancora la chiamano mamma