Anche i dettagli hanno il loro fascino, anzi sono proprio quelli che fanno la differenza, soprattutto quando si tratta di architettura.
Lo sa bene Claudio Conter, fondatore dello studio di architettura e design Atelier o7 a Milano, che ha aperto una filiale a New York due anni fa. L’ispirazione proveniente da oltreoceano influisce anche sulle opere che realizza nel suo paese di origine. E chi conosce l’Italia sa che la famiglia viene prima di tutto. Pertanto, non è un caso trovare un edificio progettato da Claudio Conter nel bel mezzo di un villaggio del Trentino Alto Adige con appena 170 abitanti. Un salone di bellezza, la cui stravaganza si irradia e si fonde con il paesaggio, come se ne fosse sempre stato parte integrante.
Senza dubbio la Valsusa potrebbe offrire scenari altrettanto spettacolari per i suoi progetti: chissà che in futuro Conter o qualche architetto altrettanto ambizioso non scelga proprio queste montagne per una casa, un hotel o un centro benessere?
Una sicurezza per l’architetto è rappresentata da Prefa, azienda austriaca presente sul mercato europeo in 22 Paesi, leader nel settore delle coperture e rivestimenti architettonici per facciate in alluminio con una gamma di 4.000 prodotti di altissima qualità. Scopriamo come mai Conter ha scelto Prefa per questo suo progetto spettacolare, i vantaggi che si hanno scegliendo le scaglie Prefa e alcune curiosità dell’edificio del Trentino Alto Adige.
Da Milano a New York: un viaggio sorprendente. Dieci anni dopo aver aperto il suo studio di architettura e design a Milano nel 2005 ha fatto il grande passo oltreoceano. Come è successo?
Claudio Conter: Il punto di partenza è stato il nostro studio a Milano, dove abbiamo sostenuto e realizzato grandi progetti architettonici. Quello è stato il punto di partenza anche delle nostre attività internazionali. A New York lavoriamo insieme a due architetti italiani, ma anche con professionisti locali.
I nostri architetti e designer possono imparare qualcosa dai loro colleghi newyorchesi?
CC: Sì e no. Per quanto riguarda i settori di interior design e architettura di interni il metodo di lavoro dei newyorchesi è molto più strutturato. I processi vengono sviluppati in modo da essere condivisibili. Negli Stati Uniti, i processi standardizzati fanno parte della gestione della qualità, in Italia ognuno lavora con il proprio metodo. Il lato negativo è che i newyorchesi sono meno flessibili rispetto agli italiani. L’ideale sarebbe combinare insieme questi due punti di forza e modi di lavorare. Bisognerebbe trovare una via di mezzo, che permetta processi più trasparenti, ma lasci allo stesso tempo abbastanza spazio per la creatività.
L’edificio che ha progettato a Livo, un pittoresco villaggio con 170 abitanti, è un vero e proprio punto di riferimento. Come è nato questo straordinario progetto?
CC: Mia cugina Arianna Conter desiderava per il suo salone di bellezza uno stile architettonico unico e stravagante, qualcosa di moderno. Per questo mi ha chiesto di curarne la realizzazione. L’idea l’abbiamo sviluppata insieme.
Qual è stata la parte più impegnativa?
CC: Era già presente un edificio, un garage, che doveva essere ampliato. In un primo momento abbiamo pensato di dover realizzare qualcosa di minimalista, che non fosse troppo appariscente e non desse troppo nell’occhio, dato che l’edificio era già di per sé imponente. Questa è stata una grande sfida. Ma poi tutto è cambiato, e abbiamo utilizzato il garage come fondamenta e costruito una struttura più grande, simile a un guscio, sull’edificio già esistente. Il problema ci ha portato alla soluzione e ha dato maggiore profondità alla pianificazione e all’architettura.
L’edificio è in armonia con il paesaggio e con le catene montuose adiacenti, come se fosse parte di essi…
CC: Questo era un aspetto fondamentale per noi. Abbiamo sviluppato le pendenze del tetto in maniera diversa tra loro, prendendo a modello il Monte Pin sullo sfondo. In questo modo l’edificio si inserisce perfettamente sia nel centro storico, sia nel paesaggio montano della Lombardia. La struttura dell’edificio si basa sulla sua semplicità e presenta, nella parte anteriore, una grande vetrata che si affaccia sul paese e sull’intera valle.
Non c’è una parete che abbia un angolo di 90 gradi. Non sceglie mai la strada più semplice, vero?
CC: Sono i tanti piccoli dettagli che abbiamo progettato a fare la differenza. Per noi era fondamentale che l’architettura si adattasse al paesaggio, per questo non vi sono pareti con un angolo di 90 gradi, perché nemmeno le montagne le hanno. Come si può vedere, non vi è alcuna linearità. Il tetto diventa sempre più stretto procedendo verso la parte posteriore e più largo verso la parte anteriore e ciò conferisce maggiore spazio alla vetrata frontale. Per il tetto e la facciata abbiamo scelto un colore grigio pietra, il colore delle catene montuose.
Perché ha scelto le scaglie 44 di PREFA per il suo progetto architettonico?
CC: Era la copertura ideale per il tetto e le facciate, non avremmo potuto realizzare il nostro progetto in nessun altro modo. A causa della non linearità dell’edificio la posa delle scaglie ha rappresentato una grande sfida, perché il tetto e la facciata dovevano essere un tutt’uno. E questa unità poteva essere realizzata solo attraverso un’installazione senza saldature delle scaglie, possibile solo con il sistema PREFA. Ora sembra quasi una seconda pelle, come un guscio che si estende sul dorso delle montagne.
Questa era la prima volta che lavorava con PREFA. Tornerà a farlo?
CC: Sì, PREFA è un’azienda molto interessante. Mi sono innamorato del materiale perché è possibile mettere insieme diversi piccoli elementi. In questo modo, il guscio dell’edificio risulta molto naturale e sempre più particolare.
Prefa
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(Informazione pubblicitaria a cura della New Press)