di PAOLA TESIO
GIAVENO – Il 7 giugno partirà il processo d’appello per l’omicidio della giovane prostituta nigeriana Anthonia Egbuna, che vede come imputato lo scrittore di Giaveno Daniele Ughetto Piampaschet. Un’intricata vicenda giudiziaria che dura da sei anni: il giavenese venne arrestato con l’accusa di aver ucciso la donna, poi scarcerato e assolto dai giudici di primo grado della Corte d’Assise di Torino per non aver commesso il fatto.
Ma la decisione viene ribaltata con l’appello: in secondo grado il tribunale decide di condannare Ughetto Piampiaschet a 25 anni per omicidio. Come prova ci sarebbero l’ormai celebre manoscritto del giavenese e le 1.900 telefonate che nei 10 mesi di “relazione” si scambiò con Anthonia, fino alla morte della ventenne nigeriana. Lo scrittore non torna in carcere, ma ha il divieto assoluto di lasciare l’Italia e deve restituire anche il passaporto.
E poi l’ultimo colpo di scena: la Corte di Cassazione annulla la condanna d’appello e ordina un nuovo processo. Il 7 giugno si ricomincia da zero, o quasi. L’avvocato Stefano Tizzani dovrà dimostrare nuovamente l’innocenza di Daniele Ughetto Piampiaschet.
UNA LUNGA VICENDA: SULLO SFONDO IL ROMANZO “LA ROSA E IL LEONE”
La storia della vita di Daniele Ughetto Piampaschet, si incrocia con le pagine del suo stesso romanzo, “La Rosa e il Leone”. Scritti che nel 2012 vennero sequestrati dai carabinieri per far luce sul tragico epilogo di una dolorosa vicenda, non ancora terminata, in cui il giavenese è imputato per l’omicidio di Anthonia Egbuna, una ragazza nigeriana che per sopravvivere si prostituiva nelle grigie e polverose strade tra Torino e Carignano.
I giovani si erano frequentati assiduamente dal 19 febbraio (data in cui si erano conosciuti), al 28 novembre 2011 (presunta morte della donna). Una lunga trafila giudiziaria: Daniele Ughetto viene arrestato con l’accusa di omicidio, ma è scarcerato in seguito all’assoluzione della Corte d’Assise di Torino che non lo ritiene responsabile di aver commesso il fatto: il libro da lui scritto che narra di un assassinio simile a quello avvenuto nella realtà, sarebbe stato una semplice finzione letteraria che avrebbe condizionato le indagini nei confronti dell’imputato, difeso dall’avvocato Stefano Tizzani.
L’appello, come talvolta accade, ribalta tutto: quel romanzo per la Corte non sarebbe stato frutto di fantasia dello scrittore bensì un triste preludio all’omicidio, ed Ughetto viene condannato a 25 anni. Infine il ricorso alla cassazione, che rimanda tutto indietro, così dal prossimo 7 giugno inizierà un nuovo dibattimento.
Una circostanza travagliata che vedrà nuovamente sfogliate dagli inquirenti le pagine di quel romanzo, che aldilà di qualunque ipotesi narra e restituisce il riflesso di un contesto sociale estremamente drammatico: “Viaggiava su una vecchia 500 Fiat. Il contachilometri segnava 343.541, e scorreva inesorabile, come gli anni che sbriciolano ogni traccia del passato. Anche se il suo presente sembrava l’eterna riproposizione di un identico passato”. Questo è l’incipit del breve racconto “La Rosa e il Leone” scritto da Daniele Ughetto Piampaschet, che al momento vede il ragazzo accusato per omicidio volontario premeditato e occultamento di cadavere, nei confronti della ventenne Anthonia Egbuna, giovane prostituta nigeriana.
LA STORIA DI DANIELE
La storia di Daniele Ughetto inizia molto tempo prima, quando all’età di soli 16 anni, era rimasto scosso da un episodio legato alla protezione. Dai racconti dei genitori: “Era arrivato a casa piangendo perché durante un giro in bicicletta aveva visto una prostituta albanese vendere il suo corpo sulla strada. Andò dal parroco e cercò di sollevare la questione, sperando che potesse essere salvata. Nella sua ingenuità pensava che sarebbe bastato per risolvere un problema così vasto. Ne rimase molto deluso e da allora cercò sempre di salvare e far inserire nella società queste donne dal vissuto doloroso. A volte le portava da noi a cena”. In effetti di ragazze ne aveva salvate tante, nel suo piccolo e senza mezzi: nel 2011 ne aveva tolto dalla strada due e altre le aveva condotte al Serming, facendo sì che alcune di loro si inserissero socialmente affrancandosi da una misera esistenza. Aveva persino pagato riscatti per una sua precedente compagna. L’amore per l’Africa era sempre stato forte: nel 2002 si sposa con una donna nigeriana da cui si separa consensualmente solo dopo anni di matrimonio, accogliendo comunque nella sua casa anche il figlio che lei aveva avuto da un altro. Era mosso dall’altruismo, forse anche patologico, nel senso che il giovane tendeva a dimenticare le proprie motivazioni di vita per dirigere tutti i propri sforzi e le energie verso gli altri, ritenendoli addirittura più importanti di se stesso, come si evince da alcune righe del racconto: “Lui aveva dato tutto per amore, aveva fatto tutto e il contrario di tutto per amore. Si era bruciato per amore. E questo era il suo unico vanto. Oggi non era nessuno. E se non era nessuno il motivo era l’amore. Oggi non era nulla. E se non era nulla il motivo erano i suoi slanci ideali!.
Gli stessi genitori lo hanno sempre ritenuto un idealista, come ricordava la madre: “Alle volte leggevamo insieme passi della Bibbia. Essendo molto cattolica spesso non comprendevo appieno il vissuto delle prostitute, lui cercava sempre di farmi capire quali condizioni di vita difficile vivevano”. Idealismo, frutto anche di una formazione filosofica, che emerge dai suoi scritti e dalle sue riflessioni in cui trapela anche una profonda critica sociale al contesto aberrante della prostituzione: “La strada era corruzione, corruzione e abbruttimento spietati. Lui non poteva sopportare la vita di una ragazza di vent’anni rovinarsi, corrompersi in quel modo, giorno dopo giorno”.
“ANTHONIA ERA UN MISTERO DI GRAZIA E BELLEZZA”
La descrive con queste parole: “Anthonia era un mistero di grazia e bellezza. Per questo era gettonatissima dai clienti, alcuni anche molto danarosi. Ma lei si era innamorata di lui, che per quanto simpatico, era più squattrinato di un ladro in manette. La mattina e il pomeriggio li passava a Carignano su un secchio o una seggiola, prima che gliela rubassero. La notte batteva su corso Regina, poco distante dalla Pellerina. Per stare insieme avevano giusto alcune ore tra un “turno” e l’altro. Facevano quattro passi per Giaveno, sbirciavano le vetrine dei negozi di scarpe e di abbigliamento, sostavano alla Crai per comprare pizze surgelate e lattine di Coca-Cola e poi si rintanavano sotto le lenzuola a coccolarsi”.
UNA RELAZIONE DIFFICILE
Nonostante tutto la coppia cercava quell’intimità consentita da pochi infinitesimali sprazzi di normalità per andare oltre quella quotidianità straziante: “Tutti i giorni presero l’abitudine di incontrarsi alle cinque o sei di sera nel luogo dove batteva. In pochi minuti Anthonia raccoglieva le sue cose, sacchetti di plastica, spazzole, ciprie e rossetti, borsone, portafoglio, agendina, soldi, ombrello… Poi raccoglieva le cartacce da terra in un sacco della spazzatura e infine ritirava in mezzo ai cespugli un secchio di plastica, una seggiola pieghevole e un grosso ombrello a pois. Tutte le volte di ritorno verso casa tirava fuori dalla borsa una banana e cominciava a mordicchiarla ascoltando la musica dialettale nigeriana”. Lui era estasiato dal profumo del sole di quella terra lontana, dalla Nigeria e dalla bellezza che si celava dietro i loro occhi: “Era rimasto colpito dalla lucentezza dei suoi occhioni. La prima volta si era rivolto con “Che fai buttata lì per strada? Ti distruggi per niente, lo sai?”, e lei si era addirittura scritta la data di quell’incontro: “L’aveva annotata sul cellulare e spesso gliela mostrava orgogliosa. Sotto la data aveva scritto “I met a friend”. Ho incontrato un amico”.
Nelle pagine del romanzo emergono i ricordi di quella giovane cresciuta troppo in fretta, probabilmente arrivata dalla Libia: “Dopo l’attraversamento del deserto era riuscita ad infilarsi sul barcone, pagando la traversata grazie ad accordi presi con una donna che le aveva fatto promettere in nome del juju (pratiche religiose tradizionali ndr) che avrebbe risarcito una certa somma di denaro. Una volta in Europa Anthonia venne invitata da alcuni conoscenti in Germania. Poi fu condotta in Italia da un’altra donna, a cui pagò 15 mila euro battendo tre mesi nella zona di Cuneo”. Daniele Ughetto descrive nel racconto dedicato ad Anthonia la vita di tante ragazze sfortunate che sognano come delle cenerentole dei giorni nostri di trovare un uomo, forse italiano, che le porti via dalla strada. Per lui quelle erano fanciulle che per altri invece rappresentavano solo delle prostitute, lo dichiara apertamente quando scrive: “L’Africa per me significava Nigeria. E Nigeria significava le donne. E le donne significavano le prostitute, così chiamate da tutti, ma per me rappresentavano l’Assoluto in terra. L’Assoluto in termini di bellezza”.
IL RACCONTO E LA SOFFERENZA
Il breve racconto “La Rosa e il Leone” viene donato alla giovane molto prima della sua uccisione, intorno ad aprile 2011, accompagnato da una lettera di dedica firmata da Ughetto: “Ad Anthonia, la vera custode dei miei segreti” e viene ritrovato dai carabinieri nell’abitazione di D., ragazza che l’ospitava, anch’essa legata al mondo della prostituzione. L’epilogo però non è da leggersi soltanto nelle battute che descrivono l’omicidio: “Infine una notte in cui non riusciva a prendere sonno pensando alla sua Anthonia sotto la pioggia, su corso Regina, impegnata a caricare i clienti uno dopo l’altro, uno più sporco e lurido dell’altro… La sua Anthonia, la donna che considerava “sua moglie”, l’unica ragione della sua esistenza presente e futura. In quello stato d’animo sofferto e allucinato si sentì come avvolgere da pareti di fuoco, e in quello stesso istante prese la decisione più terribile della sua vita: ucciderla. Attese un pomeriggio molto piovoso”. Secondo la finzione letteraria il corpo venne seppellito nei boschi di Giaveno ma: “Si sentì assalire da un’inquietudine profondissima. Ora la sua Anthonia viveva sì dell’eterna contemplazione della sua bellezza, ma lui era solo, solo a questo mondo perché la sua unica ragione di vita era in un altro luogo, in un altro tempo. Doveva raggiungerla, unirsi a lei per sempre”.
IL TRAGICO EPILOGO
Rendendosi conto dell’inutilità del gesto, e della mancanza dell’amata, il protagonista del romanzo, si suicida con un fucile. Ci sono qui delle analogie che rievocano l’atto più drammatico di Romeo e Giulietta di Shakespeare. Scrive Daniele Ughetto: “La verità è che non esiste guarigione possibile dal dolore della vita. Guarisce solo chi non si è mai ammalato avendo i piedi ancorati a terra. L’arte e la religione sono oppio, eccellente oppio per cuori sensibili e menti raffinate, e nulla più di questo. Mentre i soldi sono la panacea dei più. Ma per il saggio e l’illuminato, che è sempre anche un folle, “solo la morte è vera”, “la morte è la possibilità più propria dell’uomo”, anzi usando le parole di un poeta “la morte è un sogno” .
La morte quindi sarebbe, secondo queste righe, un epilogo ideale. Nel romanzo si possono intuire reminiscenze di Marx, Schopenhauer, Nietzsche. Infine il paragrafo più saliente è quello che riguarda il sogno, che conclude l’intera narrazione: “Ma la vita non è solo un sogno? L’omicidio e il suicidio non sono forse la scorciatoia a una più grande verità? E questa verità non è forse l’amore? Ma quale uomo può amare una prostituta? Perché lei aveva osato dirgli: “un giorno troverò un uomo bianco o nero che mi ama per come sono e quel che faccio”? quale uomo può amare una prostituta?”.
IL PROCESSO RIPARTE DAL ROMANZO
Ed è su queste frasi che si concentrerà nuovamente il dibattimento cercando di far luce sulla vicenda che ha portato alla morte, avvenuta presumibilmente tra il 28 novembre 2011 e il 26 febbraio 2012, data del ritrovamento del cadavere di Anthonia nel fiume nei pressi della diga del Po a San Mauro. Verrà nuovamente analizzato il contesto nella quale la vittima esercitava la prostituzione, ambiti in cui è sempre presente un clima di intimidazione e controllo esercitato da chi gestisce questo traffico e il ruolo effettivo di tutti i soggetti emersi durante le indagini verificandone l’eventuale coinvolgimento. I testi scritti da Daniele Ughetto, aldilà del contesto giudiziario, costituiscono un documento di una triste e diffusa condizione umana, di tante donne gettate per le strade tra l’indifferenza della gente e abusate ogni giorno, moralmente e fisicamente, da magnacci e clienti senza scrupoli. Belle e tristi fanciulle, talvolta anche bambine, che nei loro amplessi celano le vite di altre persone, uomini dalla doppia vita, fidanzati e sposati, magari anche con figli, alla ricerca di una carezza proibita.