di VALENTINO ARMANDO CASALICCHIO (Studente di Bussoleno a Beirut)
BEIRUT – Beirut è una città mediterranea piena di energia, popolata da gente affabile che ti sorride ad ogni angolo. Ma soprattutto Beirut è ricca di storia, e la si può respirare in ogni vicolo della città, con palazzi segnati dalla guerra civile conclusasi solamente nel 1990.
Io mi trovo qui da settembre grazie ad uno scambio universitario, della durata di sei mesi, per un progetto tesi di laurea magistrale.
Il 12 novembre scorso, due attentati suicidi hanno colpito un centro commerciale nella zona sud della capitale, uccidendo 43 persone e ferendone oltre 239. L’attacco, il più sanguinoso che abbia mai colpito il Libano dalla fine della guerra civile, è stato rivendicato da DAESH, il nome arabo con cui viene chiamato l’ISIS. La rivendicazione riporta l’obiettivo dell’attacco ovvero una zona, quella dov’è avvenuto, roccaforte di Hezbollah, partito che combatte lo Stato Islamico in Siria. Il quartiere è popolato principalmente da musulmani sciiti, considerati infedeli dall’ISIS, sunniti.
L’attentato ha scosso la città, ha rotto una stabilità ritrovata. In ogni negozio non si parla d’altro, le radio dei taxi riportano il bilancio di morti e feriti, le persone sono preoccupate, hanno paura di una nuova guerra di religione come già accaduto in passato.
La politica risponde in maniera unitaria, condannando l’efferatezza e la codardia di questo attentato.
Il giorno successivo accade a Parigi ciò che tutti noi tristemente conosciamo.
Le reazioni internazionali sono una condanna unanime, i social network e i monumenti di mezzo mondo si colorano di blu, bianco e rosso per celebrare e dare un messaggio di solidarietà e vicinanza alla Francia. Tutti pregano per Parigi.
I libanesi si uniscono alla comunità internazionale, condannando l’attacco di Parigi, ma, inutile nasconderlo, tutti hanno un po di amaro in bocca, soprattutto a Beirut. Le attenzioni sulla capitale francese sono fortissime, mentre ciò che è accaduto appena un giorno prima nell’altra capitale, quella libanese, non ha guadagnato nemmeno la prima pagina di un giornale europeo.
All’università si sono accesi numerosi dibattiti su quanto accaduto nelle due capitali.
Gli studenti francesi, numerosi in Libano, sono spaventati da ciò che è avvenuto a casa loro: c’è chi ha parenti che vivono nella stessa via dell’attentato e chi amici che erano dentro il teatro Bataclan, uno dei luoghi dello scempio.
I libanesi invece hanno paura di un ritorno ad un passato difficile, ma temono anche una discriminazione generale contro gli islamici. Sono increduli quando leggono alcuni titoli delle testate italiane ed europee che condannano tutti i musulmani; si chiedono come sia possibile che l’attenzione occidentale sia rivolta alla religione, quando appena 24 ore prima dall’attentato di Parigi, i terroristi hanno attaccato altri musulmani nella loro città. E ancor meno comprendono come si possano incolpare 1,6 miliardi di persone islamiche per un attentato compiuto da otto persone.
Un ulteriore rammarico sono le parole del Presidente Hollande “Siamo in guerra!”: si stupiscono di queste parole pronunciate solamente ora, poiché sanno bene che i droni francesi colpiscono la Siria da ormai tre anni. La guerra di cui si parla in Occidente ha causato l’esodo di 10 milioni di siriani: di questi, 1,5 milioni sono rifugiati in Libano, Paese che conta solamente 4 milioni di abitanti.
Ad ogni modo, la soluzione proposta da tutti è sempre la stessa: unità fra le persone, senza distinzione di religione, etnia o colore di pelle perché solo così si sconfiggono queste ostilità che vogliono destabilizzare e dividere la popolazione.
Nonostante la situazione europea sia ben diversa da quella libanese, la soluzione coincide ed è rimanere uniti. E’ proprio a causa dell’emarginazione che questi giovani hanno appoggiato lo Stato Islamico. Esso trova terreno fertile per seminare la disgregazione delle società, ad esempio, nelle banlieu parigine, dove la parola integrazione risulta sconosciuta ai più. Sono quelli i luoghi in cui le ostilità germogliano, crescono e vivono, perché l’emarginazione e le bombe sono le soluzioni che inaspriranno ancor di più la violenza, e faranno diventare guerriglieri anche i pacifici.
Chi ne pagherà le conseguenze, come al solito, saranno i più deboli: in questo caso, i siriani. Quelli che vivono ancora in Siria riceveranno il cosiddetto “occhio per occhio, dente per dente” dalla coalizione internazionale con una pioggia di bombe, mentre i rifugiati rischiano di esser rifiutati da tutti gli Stati con il sospetto che siano tutti indistintamente terroristi.
Noi siamo i protagonisti di questo momento storico difficile, che può portare ad errori già commessi in passato.
Manteniamo la lunga tradizione di ospitalità, tenendo aperte quelle porte che hanno accolto ogni viandante che volesse attraversare la frontiera italo-francese.