di FABIO TANZILLI
“Il mio lavoro mi ha tradito”. Con queste parole ieri un giovane imprenditore edile di Campigliole Fenile si è sparato: aveva una moglie e due figlie piccole, ma da tempo era rimasto senza commesse e ha deciso di farla finita. È difficile per un uomo onesto, per un padre di famiglia, arrivare a casa e dire alle persone che ami che il lavoro non c’è più, che tu non ce la fai più, che non ci sono più i soldi per portarle a mangiare una pizza o in piscina, per comprare la cartella di scuola nuova. È umiliante, ti distrugge l’anima.
Spesso i figli rappresentano l’unica ragione di vita e di continuare a vivere se tutto attorno il mondo crolla, se le delusioni sono grandi, se perdi il lavoro, le commesse, i clienti. Ma spesso tu non vuoi deludere quelle persone per cui sei sempre stato un eroe e un punto di riferimento. Perdi i clienti o vieni licenziato.
E sei solo. Nessun sostegno concreto e reale.
Ieri mattina invece un altro imprenditore, a Rivoli, si è buttato da uno dei capannoni della sua ditta. Quella che aveva costruito partendo da zero e che il tribunale gli aveva tolto per fallimento e i debiti. Aveva 57 anni, negli anni aveva dato lavoro a decine di persone. Anche in questo caso, i debiti, la mancanza di denaro, di futuro.
Si preferisce chiamarla “depressione” e sicuramente la patologia che ti corrode il cuore e la mente è una malattia seria. Ma non si muore per depressione, si muore per un sistema che ti schiaccia e non ti offre aiuti. Devi cavartela da solo: magari le persone che ami ti possono aiutare o sostenere, ma non bastano più.
Perché alla fine servono i soldi per andare avanti, non le parole. Serve una rete di sostegno sociale che ti permetta di continuare a vivere anche se nella vita possono esserci momenti difficili, che ti consenta di andare a fare la spesa e comprarti il pane.
E invece…non c’è nulla.
Ti tolgono l’azienda, ma le cartelle di Equitalia arrivano comunque. Le bollette, il bollo, i canoni, l’Irpef, il balzello, l’accise, l’aumento, l’iscrizione alla categoria, l’Irap, l’addizionale regionale, l’Inps. Bisogna pagare il mutuo, l’affitto, i rifiuti, l’acqua, la corrente, la marca da bollo, la zona blu per parcheggiare. Manca solo l’aria.
Certo, è davvero facile per lo Stato togliere, e lo fa nelle varie forme e declinato nei vari enti, da Roma fino alla Regione e al Comune. Però intanto chiede sempre l’anticipo dell’Iva, l’anticipo delle tasse dell’anno successivo, oltre alle tasse da pagare per l’anno in corso. E non dà niente, oppure dà poco. Invece le mazzate sono tante.
Puoi provare a non pagarle, a evadere e violare le leggi, a volte per disonestà, a volte per necessità. Ma poi arriva un’altra mazzata e 500 pagine di cartelle esattoriali dell’Agenzia delle Entrate. Ma i tuoi dipendenti hanno anche loro una famiglia, e devi pagargli lo stipendio, finché puoi.
E comunque le regole devi rispettarle, devi rispettare le leggi, devi giocare pulito e devi fatturare (guai a prendere i soldi in nero, guai a non fare uno scontrino), ma poi i clienti non pagano e devi allora anticipare l’Iva (a volte per menefreghismo, altre volte perchè sono messi male anche loro perchè non ricevono a sua volta i pagamenti da altri clienti): ed è una catena perversa in cui tu aspetti e non ricevi, ma devi sempre pagare in anticipo fino a quando i soldi non finiscono.
E allora ci sono i prestiti, c’è il fido, c’è il finanziamento. Ci sono le banche che se a volte ti concedono qualcosa, poi se lo riprendono con tutti gli interessi, oppure si portano via la casa. Oppure non ti danno nulla. E rimani solo.
A scuola ci avevano insegnato che le tasse e le imposte servono per fornire i servizi collettivi alla comunità: scuola pubblica, sanità pubblica, trasporti pubblici, infrastrutture pubbliche, servizi sociali, aiuto in caso difficoltà, ecc. Guardatevi attorno e valutate se ciò che pagate e paghiamo corrisponde davvero a questo, o non si tratta di bugie.
L’articolo 1 della Costituzione afferma che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Ci fanno studiare gli articoli a memoria, ce li chiedono agli esami o all’interrogazione, ci bocciano o ci promuovono in base a come abbiamo immagazzinato la lezioncina ipocrita e tutta teorica.
Poi, nella realtà, spesso il lavoro ti tradisce. Ma siamo sicuri che sia il lavoro, o non sia invece lo Stato?
Questo Stato a cui sottostiamo come cittadini inermi, oppure indignati sui social, oppure votando questo a quell’altro politico aggrappandoci alla speranza e alla retorica del potere, del movimento o del partito, che cambia volto a seconda dei periodi. Nel 1994 il salvatore dell’Italia era uno, oggi ne abbiamo altri due.
Ma il marcio che fa spesso la voglia di vivere ai lavoratori è dentro questo sistema italiano che ti schiaccia al di là di chi sieda nelle poltrone della politica. Nelle sue regole, nelle sue infinite e spesso inutili burocrazie, nella sua sistematica e ripetitiva richiesta di denaro.
E intanto chi sta fuori dai palazzi e rimane senza futuro si spara alla testa e si butta dai capannoni. E chi li ama piange, in solitudine, perdendo un padre, un marito, un amico, un amore.
“Bisogna pagare le tasse, perché così lo Stato ci dà i servizi per la collettività”, ci insegnavano a scuola. “Lo Stato siamo noi”.
Allora guardate a Genova, al ponte crollato. O alla scuola che ti crolla in testa. Ma senza fare riferimento alle tragedie nazionali, andate a prenotare una visita un po’ più seria o una radiografia, e dovrete comunque pagare ticket. A scuola dovete portare la carta igienica o i pennarelli per le attività di classe, se i bimbi devono mangiare alla mensa dovete pagare pure quella. Se vostro figlio vuole fare l’università arrivano ulteriori tasse da pagare aggiuntive. Paghiamo tutti i servizi essenziali con ulteriori biglietti e pedaggi, prenotazioni, prelievi dai bancomat, contanti. Finché li hai.
Perché paghi, ma non ricevi. Oppure ricevi poco e male. Ma intanto le commesse non arrivano, i clienti e i fornitori non pagano, le cartelle di Equitalia aumentano, le multe ti arrivano nella buca delle lettere, la mora, i ritardi, il conto scende, le commesse che non ci sono più. Ma i figli a casa ti aspettano e magari ti chiedono la pizza, un pupazzino, un pallone, oppure i dipendenti aspettano giustamente di ricevere lo stipendio.
E tu, che non sei figlio di papà ma ti sei costruito tutto da zero, che hai una partita Iva e lavori tutto l’anno onestamente e le ferie – se scegli di farle per fare felice moglie e figli sai già che per quel periodo ci rimetterai dei soldi e non saranno retribuite – aspetti e speri. Ma non hai troppi margini di errore, perché se sbagli, ti tolgono tutto.
Se sei una persona normale, che non può spostare la sede in paradisi fiscali all’estero o ricco di famiglia con rendite, la partita è ad alto rischio.
E così oggi piangiamo la morte di questi due imprenditori, che erano persone come noi con pregi e difetti. Ma sicuramente lavoravano sodo, si impegnavano, davano tutto per il lavoro. Non perché il lavoro è tutto, ma perché senza il lavoro i soldi non li hai e quindi non puoi vivere la quotidianità reale e in questo sistema malato non ci sono aiuti.
Sembra di stare in acqua, galleggiando e sperando che l’onda non ti travolga.
C’è da chiedersi se tutto questo sia giusto, leale, corretto.
No, non lo è.
Complimenti signor Tanzilli ho letto attentamente il suo articolo e mi creda lei ha messo alla luce la realtà del cittadino italiano, ripeto italiano, e lo stato in questi dov’è … o meglio dov’è stato in tutti questi anni !!! Spero che ciò che ha scritto muova la coscienza dei nostri politici …
Grazie Claudio. Personalmente non ho molta fiducia nelle istituzioni. E intanto gli imprenditori stanno pagando le tasse in anticipo già per il prossimo anno…
no che non lo è.
Per il resto… lo stato siete tutti voi. Ogni volta che abbassate le orecchie davanti a un arrogante favorite la mafia. Quella strisciante, quella che distrugge le persone oneste!
Bisogna ribellarsi, sempre, agli arroganti.
Un grazie di cuore allo Stato. Non è il primo ne l’ultimo questo perseguitato del fisco….che tristezza
E ora che non c’e’ più cosa ha risolto? ha aiutato la famiglia?
Capisco l’articolo, ma così non ha cambiato nulla
per non parlare di quegli imprenditori che lavorano autonomi ma su appalti statali , che lavorano oggi e iniziano a prendere i soldi se va bene dopo 90 giorni , ma giustamente noi paghiamo l’anticipo , e ce la prendiamo nel culo in anticipo , sono vicino e capisco lo sconforto e il dolore di queste persone , ma farsi fuori e come fare un autogoal e darla vinta a loro…
purtroppo viviamo in un epoca indivdualista , dove ogniuno guarda il proprio orticello senza curarsi dell’altro , se non esistesse individualismo e si fosse piu uniti ” come nel 44 ” butteremmo il nostro sconforto in faccia a qualcuno purche le cose cambino , ma ormai siamo talmente abbandonati a noi stessi che farsi fuori e l’opzione piu rapida
e dire che richiede un notevole coraggio , se questo coraggio si convertisse in orgoglio “forse “potremmo riprenderci cio che e nostro , anche in nome di questa povera gente che ci ha lasciati perche ormai ci hanno tolto tutto
anche l’ultima briciola di dignita