di MARIO RAIMONDO
Era un lunedì alla vigilia dell’estate, quel 10 Giugno 1940… Ugo Rumiano, classe 1924, un giorno sarebbe stato Sindaco di Villarfocchiardo ma, ovviamente, allora non poteva ne saperlo, ne immaginarlo…Era un ragazzino quindicenne, figlio di quell’epoca e come i tutti i ragazzini vedeva con gli occhi di quell’età quel che stava accadendo e per accadere. “L’infanzia e l’adolescenza della mia epoca – racconta Ugo Rumiano – era anni luce distante da quella odierna…la vita era anni luce distante da quella odierna… Mio padre , Mario Rumiano, faceva il ciabattino ed aveva una bottega in cui oltre a ripararle le scarpe le vendeva ed ovviamente i soldini erano quelli che erano…. ‘Se potessi avere mille lire al mese’ come cantava una nota canzone del 1939…bè, i miei sarebbero stati ricchi.
Però non era proprio così. Abitavamo presso il Municipio, dove oggi c’è l’ambulatorio medico e mia madre, per pagare l’affitto, faceva un po’ da bidella alle scuole, andando a far le pulizie o d’inverno ad accendere la stufa. Mio padre però era affascinato da tutto ciò che oggi si chiamerebbe ‘innovazione’ tant’è che la prima radio che ci fu al Villar fu la nostra…
Per il Villar d’allora, un paese assolutamente rurale, questa era una cosa eccezionale…Ricordo che la domenica, quando poteva, l’allora Prevosto don Ponsero, veniva giù da noi ad ascoltare la benedizione Urbi et Orbi che il Santo Padre impartiva nella città eterna… Che l’aria fosse ‘pesante’ anche noi lo avvertivamo se non altro dalla preoccupazione dei nostri genitori che da quel Settembre 1939 , con l’inizio delle operazioni belliche, temevano ‘il giorno’ nel senso che temevano il momento dell’annuncio di una eventuale entrata in guerra dell’Italia, oltretutto al fianco di quel ‘tedesco’ che era stato combattuto nella Grande Guerra.
Noi ragazzini vedevamo movimenti strani in giro…Ad esempio al Villar, nei pressi della Gerbola, nascosti nel bosco, c’era un gruppo di carri armati, che erano spuntati all’improvviso lì. Andarli a spiare, guardarli nella loro meccanica che ci appariva immensa, per noi era un gioco…Ci incuriosivano quei soldati nascosti nei boschi del Villar…Comunque quel 10 giugno 1940, una giornata che si presentava assolutamente normale e che per la storia diventò particolare, credo che i miei furono tra i primi a sapere che sarebbe successo qualcosa perchè alla radio trasmisero un comunicato in cui si preannunciava un discorso del Duce per le ore 18.00 della sera. Mi sembra di ricordare che mio padre mormorò qualcosa come ‘ci suma’ (ci siamo)…che presagiva qualcosa di temuto…
Nel frattempo anche nella locale sezione del Partito Fascista, che era alle 4 Strade, affisserò dei manifesti in cui si invitava la popolazione ad andare in Piazzetta dove sul balcone della Trattoria ‘da Tilde’ avevano montato degli altoparlanti per ascoltare la trasmissione radio. Il tam-tam di paese – il telefonino dell’epoca – fece il resto.
Alle 18.00 la piazzetta era gremita, l’obbligo di partecipare – almeno uno o due per famiglia era implicito – ma non mi pare di ricordare un entusiasmo ‘oceanico’. C’era il Podestà, Virginio Bosco, il Segretario della sezione PNF locale, Maurizio Pogliano, altri ‘scaldati’ locali, ma niente di più.
Quando il Duce iniziò a parlare da Piazza Venezia, con quella voce che l’Eiar, con la tecnologia dell’epoca portava come poteva nelle piazze d’Italia, quando si sentivano gli applausi applaudivamo, quando c’era silenzio e Lui parlava, facevamo silenzio…Sembrava tutto irreale, distante, sicuramente non spontaneo…Anche per noi ragazzi che vedevamo con gli occhi ingenui ciò che stava accadendo, tutto questo sembrava strano..Le madri, le nonne che avevano perso i figli nella Grande Guerra, erano basite…Erano passati appena 22 anni dalla fine della Grande Guerra con i suoi lutti…ed eravamo punto a capo. A sera, a casa e per il paese, si respirava un’aria di sommessa malinconia…Senza saperlo l’aveva detto anche il Duce : “L’ora segnata dal destino …era giunta”. E sarebbe giunta. Trascinando a fondo l’Italia.