SUSA – Il vicepremier Salvini attacca la giovane valsusina Ilaria Genovese, consigliera della Circoscrizione 7 di Torino del partito Alleanza Verdi Sinistra e figlia del sindaco di Susa Piero Genovese. Il leader della Lega ha pubblicato sulle sue pagine social, lunedì 2 dicembre, un post in cui critica la giovane consigliera per alcune dichiarazioni rilasciate all’edizione torinese del Corriere della Sera, sui temi dello spaccio di droga e della sicurezza. “Una persona che spaccia non rappresenta un problema di sicurezza” ha scritto Salvini, riferendosi alle dichiarazioni dii Ilaria Genovese. “Ma certo, che male farà mai un venditore di morte? Uno schiaffo alla legalità e agli italiani perbene. A sinistra non conoscono limite alla vergogna”.
In realtà la giovane valsusina non ha fatto queste dichiarazioni, ma ha espresso un ragionamento più complesso e articolato. Comunque sia, fino ad oggi il post del vicepremier ha raccolto sulla pagina Facebook oltre 3500 commenti, in cui la giovane segusina viene ampiamente attaccata e purtroppo anche insultata, nel terribile e ormai classico sistema della gogna sui social.
I concetti espressi da Ilaria Genovese sulla questione droga e sicurezza, però, erano più articolati. E la stessa consigliera li ha ribaditi in un post sulla sua pagina Facebook: “Ritengo che il fenomeno dello spaccio non debba essere trattato esclusivamente come un problema di sicurezza, ma come il sintomo di disuguaglianze sociali e mancanza di opportunità. Molte persone ricorrono a queste attività per sopravvivere in un sistema che non offre alternative, evidenziando la necessità di politiche che investano in inclusione, opportunità lavorative e supporto sociale. È questo che ho spiegato nell’intervista uscita sul Corriere della Sera, ma vorrei sottolineare ancora alcuni punti.
Il nostro impegno politico deve essere quello di affrontare le cause alla radice: creare opportunità, investire in politiche di inclusione e favorire la costruzione di una comunità più solidale. Reprimere senza comprendere non risolve nulla, anzi, perpetua un ciclo di esclusione e marginalità. Per questo penso che spostare le persone da ponte Carpanini non risolva nulla, ma anzi alimenti un clima già teso.
In questo quadro complesso, che non è bianco e non è nero, ma pieno di sfumature di grigio, bisogna guardare allo spaccio come un fenomeno che non nasce e non si siede solo sui gradini di un ponte in Aurora. Di mezzo ci sono anche le politiche migratorie e di accoglienza, che svolgono un ruolo cruciale: troppe persone, pur regolari, vivono in condizioni di completa riscattabilità, e così spesso trovano mezzi di sostentamento ai margini della legalità o in reti criminali di cui sono le prime vittime.
Le politiche del Governo mirano a tenere volontariamente le persone in questo stato di marginalità e fragilità economica, sociale e culturale, per pura crudeltà ideologica verso le persone straniere. Nelle grandi città, come Torino, vediamo gli effetti più concreti e ingiusti di queste politiche della destra.
Troppe persone, potenzialmente regolari, vivono in un limbo fatto di attesa e diritti sospesi. Dobbiamo ripensare il sistema di integrazione, trasformando l’accoglienza in un’opportunità per tutti, e garantendo percorsi di inserimento reale, per prevenire che disagio sociale e vulnerabilità sfocino in criminalità.
Il sovraffollamento delle carceri è una diretta conseguenza di un approccio repressivo inefficace, che criminalizza fenomeni come il piccolo spaccio e l’uso di droghe leggere: oltre il 30% della popolazione carceraria risulta detenuta per reati legati allo spaccio. Questo approccio non solo non risolve i problemi, ma alimenta un ciclo di esclusione e marginalizzazione. È tempo di distinguere tra droghe leggere e pesanti, aprendo un dialogo sulla liberalizzazione delle prime, sia per ridurre la pressione sul sistema giudiziario e carcerario, sia per affrontare il tema con giustizia e razionalità.
Solo con una visione che tenga conto delle interconnessioni tra disuguaglianze sociali, possiamo immaginare una società più giusta, dove la sicurezza non sia solo repressione e spostamento di persone indesiderate da un territorio all’altro, ma un risultato naturale di comunità più vivibili per tutti”.