di RICCARDO HUMBERT
Attenzione! Se venite in Val di Susa le buche (o i buchi) sono un “must”. E non parlo solo di quello del (o della) Tav: ci sono quelli di Terna (il “bucodotto” tra Italia e Francia), quello della romana Acea e complici vari (il cosiddetto acquedotto di valle che proprio di valle non è), quello doppio di Pont Ventoux (il primo crollato con la talpa dentro e il secondo che funziona solo a metà poiché gli ingegneri che hanno studiato cinque anni hanno inciuccato le quote) che dovrebbe portare l’acqua alle condutture forzate della centrale di Chiomonte.
Da anni la Valle è un continuo pit stop, ma non quello della Ferrari che in meno di quattro secondi ti fa ripartire. Tra Bussoleno e Susa ce ne sono almeno sei o sette, li chiamano semafori. Il tempo della fermata, però, è attualmente assimilabile solo a quello del cambio dei quattro pneumatici della Lancia Lambda del 1922 (ruote a raggi Rudge Whitwort, pneumatici 765×105) durante il quale i meccanici, tra un bullone e l’altro, dovevano rifocillarsi con una mezza dozzina di acciughe al verde generosamente elargite da osti locali.
“Ma tutto questo Alice (al singolare) non lo sa”, dunque noi in Val di Susa abbiamo una grande esperienza di buchi (o di buche).
Non possiamo dunque rimanere insensibili al grido di dolore che dal Colosseo a Saxa Rubra, da Palazzo Grazioli a Rebibbia ci giunge dopo il piccolo disguido (figura di merda) dell’ultima tappa del Giro d’Italia a Roma. Siamo comunque sempre una grande nazione!
Forse Roma ha semplicemente voluto ricollocare questo evento in una più serena dimensione.
Perché mai i romani, da anni angustiati da strade dissestate, avrebbero dovuto vedersele riasfaltare per un’occasione così banale.
Forse ne sarebbero rimasti persino offesi, semmai se un giorno riasfalteranno qualche strada sarà per loro, mica per una rumorosa carovana di passaggio.
Siamo Noi i veri inventori del formaggio con i buchi Ahahahah