di MARIO RAIMONDO
Un’idea nuova (ma neanche troppo perchè un tempo era così), per parlare di agricoltura a Km 0: è quella che ci racconta l’almesino Claudio Muto della Cooperativa Terra Nova. Che cerca produttori locali della Val Susa, disponibili a collaborare con lui come fornitori per una nuova trattoria vegana aperta a Torino.
“Partiamo da un principio banale quanto reale – dice Claudio Muto – ossia che se il lavoro non c’è allora bisogna inventarlo. È quello che ha fatto la Cooperativa Terra Nova che a Torino, in via Sant’Ottavio nei pressi dell’Ateneo, ha aperto un punto di ristoro, una trattoria. Una trattoria un po’ particolare però…perché propone pranzi, cene, apericene con menù esclusivamente vegani.
Si evitano gli acquisti dalla grande distribuzione e si punta ai piccoli produttori del territorio, a cominciare dai contadini. “Ma tenendo conto dell’eticità sociale dei fornitori che non devono avere all’interno delle loro aziende condizioni di sfruttamento del lavoro”.
Alcuni esempi? Verdure, parte delle farine e canapa arrivano da una cooperativa di Venaus, ma anche da Marcello Drago di Avigliana che offre i suoi ottimi mais antichi, o da Luca Abbà del Cels. Il Birrificio Valsusa, ossia Laval, fornisce le birre alla spina. I vini rossi arrivano da Chiomonte, mentre i succhi di frutta giungono da una Cooperativa della Val Sangone. Parte delle farine e la pasta secca arriva da Giaveno.
Ciò che interessa a Claudio Muto è proprio il mondo agricolo della Val Susa e Val Sangone, le cui potenzialità sono considerevoli: “Proviamo ad immaginare che cosa succederebbe se tutte la botteghe ed i ristoranti della Val Susa e Val Sangone comprassero tutto o buona parte localmente: ci sarebbe spazio e agibilità economica per tutte quelle persone che stanno cercando di reinventarsi un futuro, partendo dalle piccole produzioni di qualità. Questa situazione avrebbe un effetto volano – oltre che sul sistema ambientale, che vedrebbe la sostituzione del gerbido disordinato con l’ordine dei coltivi – anche sul sistema economico: con volumi più grandi i prezzi potrebbero essere anche un po’ più competitivi.. Potremmo mangiare tutti molto meglio, e potremmo ricominciare a dare di nuovo un po’ di senso agli sfilacciati legami comunitari. La comunità, un tempo, era costituita soprattutto da gente che lavora insieme fianco a fianco lo stesso territorio, curandolo, rispettandone il valore che non aveva solo valenza economica, ma anche etica… Provare a ripartire da qui, provare ad immaginare futuri diversi partendo dall’alveo del ‘buon senso’ che avevano un tempo le nostre comunità rurali…Forse per mangiare spenderemo qualche euro in più, ma avremo l’impagabile soddisfazione di riprenderci quel ‘buongusto’ del territorio che davvero è e deve essere la radice delle nostre comunità”.
In tempi di omologazione del gusto, di junk food – spacciato molte volte come prodotto d’eccellenza – quello di Claudio Muto non rischia di essere un’utopia, un sogno, o perlomeno un abbaglio?
Forse…ma forse no…anni fa a borgata Tampe, splendido balcone sulle montagne villarfocchiardesi, guardando la terra della valle che lasciava lo spazio al cemento, me lo disse Michele Ravoira, l’ultimo vero montanaro del Novecento: “Un giorno vi salverete solo se tornerete a lavorare la terra…”. Michele Ravoira non sapeva assolutamente nulla di ciò che è ‘globale’ nè di ciò che è ‘locale’…ma con la genuinità dei semplici guardava vicino e vedeva lontano… Forse aveva davvero ragione…