Anche nei parchi della Valle di Susa (Parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand, il Parco naturale dei Laghi di Avigliana, il Parco naturale Orsiera Rocciavrè e il Parco naturale della Val Troncea) prende il via un progetto europeo da 6 milioni di euro per monitorare la presenza del lupo sulle Alpi, tutelarlo dagli attacchi di bracconieri e dialogare con gli allevatori.
Secondo le ultime stime, il numero dei branchi alpini italo-francesi è cresciuto da 1 a 32, tra il 1994 e il 2009 (Fonte: WAG 2009). Il solo numero dei branchi alpini piemontesi è cresciuto da 1 a 14 nel periodo compreso tra il 1999-2012, con una stima nel 2012 di minimo 50 lupi presenti sul territorio regionale (Fonte: Progetto Lupo Piemonte: www.centrograndicarnivori.it). Diversi branchi di lupi si sono insediati in Val Susa a partire dal 1996, quando è stata documentata la prima riproduzione di un branco nel Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand. Attualmente, il lupo è presente in tutte le valli dell’area di intervento organizzato in cinque branchi riproduttivi con un territorio medio di 200 km quadrati. L’ultimo rapporto sulla consistenza e distribuzione dei lupi sulle Alpi, aggiornato al 2012 parla di 35 branchi e 6 coppie (http://www1.nina.no/lcie_new/pdf/635422311267073434_WAG_report_2014.pdf).
Da quest’inverno un apposito staff tecnico monitorerà anche i parchi valsusini per raccogliere sul campo i segni di presenza del predatore, e per i tre anni successivi.
Al via anche le squadre cinofile antiveleno, destinate all’individuazione e alla prevenzione degli episodi di avvelenamento. Sono inoltre stati distribuiti i questionari agli allevatori per acquisire dati sulle predazioni da lupo subite, ma anche e soprattutto sulla qualità della vita e del lavoro di chi in estate montica i propri animali. È stato avviato lo studio di human dimension, per indagare la posizione dell’opinione pubblica riguardo al lupo e il suo evolvere nel tempo.
Ormai, in Val Susa come nel resto del l’arco alpino, si rende necessario un intervento conoscitivo e di tutela di questo storico predatore alpino. Perché la presenza di un grande carnivoro rappresenta un elemento di criticità per chi sulle Alpi lavora, soprattutto se vive di pastorizia. Si tratta di problemi reali, che vanno affrontati dialogando con chi è direttamente coinvolto dal ritorno del lupo: allevatori, in primis, ma anche cacciatori, amministratori e abitanti chiamati a confrontarsi con situazioni nuove e complesse, al fine di trovare un nuovo equilibrio.
Il progetto europeo LIFE WOLFALPS (co-finanziato dal programma LIFE+ “Natura e ambiente”) intende contribuire alla gestione del ritorno del lupo sulle Alpi attraverso un approccio coordinato e condiviso, capace di superare i confini regionali e nazionali coinvolgendo l’intero arco alpino con 12 partner: il Parco delle Alpi Marittime (beneficiario capofila), le regioni Veneto e Lombardia, il Corpo Forestale dello Stato, i Parchi della Val Grande e dello Stelvio, i Parchi regionali delle Alpi Cozie, del Marguareis e dell’Ossola, il MUSE di Trento, il Parco del Triglav e l’Università di Lubiana in Slovenia.
LE SEI PRINCIPALI LINEE D’INTERVENTO
Di seguito riportiamo una descrizione sintetica delle sei linee d’intervento con i riferimenti alle azioni di progetto che coinvolgono (si confronti il documento del progetto per il dettaglio fine delle azioni)
ANTIBRACCONAGGIO
Il bracconaggio nei confronti del lupo è tra le più importanti cause di mortalità della specie: un indizio lampante del basso livello di accettazione del predatore da parte di qualcuno, che non si fa scrupoli a violare la legge e a utilizzare armi da fuoco, tagliole, lacci e bocconi avvelenati per liberarsi della presenza dei lupi.
Dal 2010 al 2012 sono stati trovati 18 lupi uccisi illegalmente nella sola regione Piemonte, su un totale di minimo 80 lupi stimati presenti. Il numero dei lupi bracconati potrebbe essere tuttavia molto più alto: trovare un lupo morto e accertarne l’uccisione illegale è infatti spesso molto difficile. Nel 2012 è stata documentata la presenza stabile dei primi lupi nella regione del Veneto, ma uno è stato già avvelenato nel mese di agosto dello stesso anno.
Il metodo più subdolo per eliminare i lupi, pericoloso anche per l’ecosistema in genere e persino per l’uomo, è l’uso del veleno. L’uso illegale dei bocconi avvelenati è una delle minacce più serie alla conservazione del lupo ed è una pratica pericolosa per un gran numero di altri animali, come i cani domestici, i piccoli carnivori (volpi, tassi, …) e tutti quegli animali che si nutrono di carcasse e che possono essere a loro volta avvelenati dai resti degli animali uccisi.
Le uccisioni illegali devono essere ridotte al minimo per garantire la conservazione a lungo termine di una popolazione alpina vitale di lupo e limitare i danni collaterali causati dall’impiego del veleno su altri animali selvatici e domestici.
AZIONI ANTIBRACCONAGGIO E ANTI VELENO
LIFE WOLFALPS intende affrontare e risolvere il problema del bracconaggio in due modi. In primo luogo sul campo, formando il personale degli enti e delle istituzioni che lavora sul territorio: guardaparco, guardie forestali, polizia provinciale hanno già in parte ricevuto e riceveranno prossimamente una formazione specifica sulla lotta al bracconaggio e, in particolare, all’utilizzo di bocconi avvelenati. Sono stati coinvolti nella formazione anche i comprensori alpini di caccia: un buon cacciatore è infatti il contrario di un bracconiere.
Uomini e cani contro il veleno
Perché è necessaria una formazione specifica? Il contrasto agli abbattimenti illegali è in effetti già il pane quotidiano dei tecnici che lavorano sul campo: non sono invece strumenti così diffusi l’addestramento e la gestione di cani antiveleno. Un gruppo di almeno dieci guardie e agenti particolarmente motivati sarà quindi selezionato e preparato al fine di costituire almeno una squadra antiveleno, composta di personale con unità cinofile, per ogni core area: uno staff dedicato al contrasto dell’uso del veleno e del bracconaggio.
L’addestramento dei cani per il ritrovamento dei bocconi avvelenati è un processo lungo e difficile, che richiede un costante allenamento degli animali da parte dei conduttori: al termine dell’addestramento, almeno 5 cani antiveleno saranno attivi nel settore occidentale delle Alpi e un ugual numero nel settore centro-orientale.
Tutte le competenze acquisite nel corso del progetto, nonché la costituzione di squadre antiveleno con unità cinofile, sono un valore durevole per gli enti e le istituzioni, su cui potranno contare ben al di là dei limiti di tempo del progetto LIFE WOLFALPS.
Un altro aspetto fondamentale della lotta al bracconaggio e all’utilizzo del veleno è la comunicazione.
Per debellare o per lo meno ridurre al minimo il fenomeno bisogna sensibilizzare l’opinione pubblica, in modo che i bracconieri o i potenziali avvelenatori siano isolati e stigmatizzati. Occorre far passare il messaggio che l’avvelenamento non è solo illegale, ma anche antiecologico, immorale e molto pericoloso per l’uomo, i bambini, e per i nostri amici a quattro zampe.
I bracconieri non devono poter contare sul tacito appoggio dell’opinione pubblica, ma vanno messi in un angolo e fatti oggetto di unanime disapprovazione. Finché chi utilizza bocconi avvelenati è in fin dei conti tollerato se non silenziosamente approvato dal resto della popolazione che ignora la reale gravità di questa pratica, il bracconaggio continuerà a esistere e prosperare.
Per questo la strategia di comunicazione del progetto LIFE WOLFALPS include la condanna senza riserve del bracconaggio fra i suoi messaggi chiave.
Il lupo sulle Alpi: una popolazione unica, un’unica popolazione
La popolazione alpina transfrontaliera di lupo è stata considerata un’entità unica e distinta a partire dal documento “Linee Guida per i Piani di Gestione dei Livello di Popolazione dei Grandi Carnivori” sottoscritto dalla Commissione Europea nel 2008: per questo motivo deve essere monitorata e gestita come tale al di là dei confini nazionali. Inoltre, la gestione effettiva della popolazione alpina di lupo richiede l’accertamento dello Stato Favorevole di Conservazione (FCS) dell’intera popolazione, secondo quanto richiesto dalla Direttiva Habitat. Un impegno che richiede un enorme lavoro di coordinamento a livello dell’intero arco alpino, che fino a oggi è mancato. Proprio l’assenza di coordinamento su scala sovranazionale è alla base dell’efficacia solo limitata degli interventi effettuati finora sul piano della conservazione del lupo e della prevenzione dell’impatto del predatore sulle attività economiche.
COORDINAMENTO
La svolta fondamentale e innovativa di LIFE WOLFALPS consiste precisamente nel mettere in campo, per la prima volta, un programma di conservazione coordinato e condiviso da parte di tutte le regioni alpine interessate dal ritorno del lupo, concepito per durare anche al di là del progetto.
Nel concreto, coordinamento vuol dire:
• istituzione di gruppi di coordinamento nazionali e internazionali per definire per la prima volta approcci condivisi e standard, i soli che possono permettere di ridurre al minimo i conflitti causati dalla presenza del lupo (A1, A2);
• formazione a livello alpino del personale tecnico con il trasferimento delle conoscenze da ovest a est per imparare e mettere in pratica dall’Appennino Ligure alle Alpi Dinariche le stesse tecniche di monitoraggio del lupo e di lotta al bracconaggio (A3, A5);
• monitoraggio e conservazione coordinati della popolazione di lupo a livello dell’intero arco alpino (A2, A3, A4, D1);
• tavoli di lavoro per la gestione della popolazione di lupo sulle Alpi condivisi tra i vari Enti e gruppi di interesse (E9);
• strategia di comunicazione comune (A12).
ECOTURISMO
Un turismo poco rispettoso dell’ambiente alpino può essere in conflitto con la conservazione del lupo: l’intensificarsi della rete viaria e l’aumento della frequentazione delle terre alte sono infatti alla base rispettivamente della frammentazione degli habitat e del disturbo diretto della specie, in particolare dei siti riproduttivi.
Perché la frequentazione della montagna non abbia un impatto negativo sui branchi e sugli individui, il progetto LIFE WOLFALPS sviluppa un programma di ecoturismo a partire dai piani di gestione del territorio realizzati dalle aree protette: prima si individuano i siti riproduttivi e le zone che devono essere fatte oggetto di particolare tutela per il bene della specie, poi si elaborano e promuovono quelle modalità ad hoc di fruizione della montagna che conseguono i due importanti obiettivi di sensibilizzare i visitatori sulla presenza del predatore e di garantire un ritorno economico al territorio.
Ecoturismo vuol dire turismo sostenibile, per l’ambiente e per gli abitanti del territorio ospite, sia che si tratti di operatori del settore turistico (strutture ricettive, esercizi commerciali, botteghe artigiane, accompagnatori naturalistici) o di professionisti come i pastori in alpeggio, la cui attività costituisce un motivo di interesse per un certo tipo di turismo – attento, rispettoso, curioso – che vuole a scoprire la montagna al di là della gita “mordi e fuggi”. L’ecoturismo “amico del lupo” prevede così l’elaborazione e la commercializzazione di gadget e prodotti gastronomici tipici (per esempio tipi di pane e/o formaggio) caratterizzati dal “brand” del lupo e del progetto. Un mezzo per sensibilizzare indirettamente il pubblico generico e nello stesso tempo per garantire un ritorno economico impiegando una corretta immagine del lupo.
Oltre ai “prodotti” tangibili, saranno messe in campo proposte di attività estive quali escursioni organizzate agli alpeggi che si distinguono per la buona gestione del pascolo ed invernali quali lo snow-tracking (la ricerca di impronte sulla neve) sulle tracce del lupo. Altre iniziative in programma sono i camp estivi, un programma di attività dedicate alle scuole e la realizzazione di itinerari escursionistici che includono nel loro nome il lupo, sul modello del “Trekking del lupo” realizzato nelle Alpi Marittime, e la promozione delle aree faunistiche dedicate al lupo – in primo luogo il Centro faunistico “Uomini e lupi di Entracque”, importanti ed efficaci centri di sensibilizzazione e di diffusione di una corretta informazione su tutti gli argomenti legati al ritorno spontaneo del predatore.
Infine, speciali campagne di promozione dell’ecoturismo saranno sviluppate a partire da campagne di sostegno di alcuni individui ben determinati, lupi che hanno altissimo valore ecologico perché protagonisti di importanti episodi di dispersione dalle Alpi Dinariche o dagli Appennini: “Adotta un lupo speciale”.
INFORMAZIONE 360°
Il lupo non gode di buona stampa, è un dato di fatto: la ribalta mediatica è affidata di solito a interventi sensazionalistici che hanno come protagonisti lupi che uccidono, lupi che spaventano, lupi morti, lupi la cui presenza è contestata o acclamata – in un caso e nell’altro molto spesso su basi del tutto inaffidabili. Di certo non depone poi a favore di un atteggiamento oggettivo e pacato nei confronti del ritorno del lupo l’immensa bibliografia di cronache, favole e leggende (non sempre è facile capire dove finiscono le une e iniziano le altre) che lo dipingono come un crudele assassino.
Nei fatti, il lupo è un carnivoro selvatico il cui ritorno spontaneo sulle Alpi, dopo oltre un secolo di assenza, se da un lato rappresenta un valore dal punto di vista ecologico, d’altro canto crea tensioni che sfociano in conflitti resi più accesi e complessi da gestire da una forte componente emotiva, che anima tutte le parti in causa, pro e contro il lupo.
La posizione del progetto LIFE WOLFALS in merito è chiara, e si può articolare come segue:
1) la presenza di una popolazione vitale di lupo sulle Alpi, dovuta a un processo di ricolonizzazione spontaneo tuttora in corso – rappresenta un irrinunciabile valore ecologico da conservare per le generazioni future;
2) la presenza di una popolazione vitale di lupo sulle Alpi è compatibile con tutte le attività umane in montagna a patto che sia gestita in modo coordinato e condiviso. Pertanto:
3) solo un approccio di gestione coordinato e condiviso a livello dell’intero arco alpino tra enti, istituzioni e associazioni dei portatori di interesse (pastori, cacciatori, escursionisti, ambientalisti, comunità locali) consente di individuare e di mettere in pratica le soluzioni concrete che sono alla base della convivenza stabile tra la popolazione alpina di lupo e le attività umane.
Contribuire al raggiungimento di questo obiettivo è lo scopo della strategia di comunicazione del progetto.
INFORMAZIONE
La strategia di comunicazione LIFE WOLFALPS coinvolge ogni partner ed è coordinata dal MUSE – Museo delle Scienze di Trento. La sua definizione è una delle azioni prioritarie e iniziali del progetto perché è pensata per indirizzare tutte le azioni specifiche di comunicazione, dall’informazione rivolta a pastori e cacciatori, ai laboratori didattici, alla formazione per gli insegnanti e molto altro ancora.
Uno degli aspetti più interessanti delle azioni di comunicazione LIFE WOLFALPS è il fatto di potersi basare su materiali ricavati dai risultati delle azioni concrete di monitoraggio e conservazione: si tratta quindi di dati aggiornati, attendibili, scientifici.
La strategia di comunicazione comune (A12) prevede:
• comunicazione trasparente e aggiornata sia sull’avanzamento del progetto che sui dati relativi al lupo via via raccolti ed elaborati a mezzo di incontri e conferenze e grazie al sito web, con il supporto dei social e della carta stampata;
• attività di informazione e di coinvolgimento diretto dei portatori di interesse (agricoltori e allevatori, cacciatori, ambientalisti, enti e istituzioni preposti alla gestione della fauna selvatica), cui verranno forniti tutti gli elementi legati al progetto e i dati aggiornati sulla popolazione alpina di lupo e sulle migliori tecniche di prevenzione disponibili;
• attività di informazione sulla biologia, sul comportamento del lupo e sulle dinamiche della sua ricolonizzazione delle Alpi, diversificate a seconda dei destinatari;
• attività didattiche volte a trasmettere un’immagine scientifica e oggettiva del lupo e a diffondere a livello della popolazione una cultura del rispetto del selvatico;
• mostra itinerante dedicata al lupo e destinata al grande pubblico, che viaggerà per l’intero arco alpino, ospite dei vari partner di progetto;
• immagine coordinata LIFE WOLFALPS, che renda i prodotti del progetto immediatamente riconoscibili e identificabili.
MONITORAGGIO E CONSERVAZIONE
Che si parli del lupo o di una qualsiasi altra specie, quando si tratta di gestirne la conservazione occorre prima di tutto avere a disposizione dati attendibili e aggiornati su cui lavorare: quanti sono i branchi e quanti i lupi? Dove vivono? Come si spostano? Di che cosa si nutrono? Di che cosa muoiono? Qual è il loro impatto sul bestiame domestico? Com’è percepita la loro presenza da parte di chi vive sui territori ricolonizzati?
Tutte queste informazioni si ottengono solo attraverso un’attività di monitoraggio condotta secondo metodo e rigore scientifico.
Raccogliere dati scientifici a livello dell’intero arco alpino è un’impresa complessa, che richiede un grande dispiegamento di personale preparato (A3), in grado di mettere in pratica, sul lungo periodo, protocolli di monitoraggio affidabili e condivisi. Corsi di formazione sono organizzati per uniformare l’approccio di monitoraggio a scala alpina e preparare il personale con metodi unificati, il primo è stato organizzato a Ceva nel 2014 per la costituzione del “Network Lupo Alpi”. E prima ancora che il lavoro sul campo abbia inizio, occorre stabilire questi protocolli, definendo strategie e metodologie comuni di monitoraggio dello stato di conservazione della popolazione di lupo e del suo trend nel tempo (A2).
L’attività di monitoraggio è necessaria sia nella fase iniziale del progetto, per stabilire lo status ante quem (A4, A7, A8), che al termine del lavoro, per verificare l’efficacia degli interventi messi realizzati (D1, D2, D3). Le azioni più strettamente legate alla conservazione del lupo prevedono l’elaborazione di piani di gestione del territorio all’interno delle aree protette per proteggere la specie e i suoi siti riproduttivi (A9) e l’analisi della connettività spaziale della popolazione alpina di lupo (A10). Un ulteriore oggetto di monitoraggio sono i casi di ibridazione cane-lupo, la cui gestione (C5) rientra a pieno titolo nella conservazione della popolazione alpina di lupo: l’ibridazione con i cani domestici costituisce infatti una seria minaccia alla conservazione dell’identità genetica della specie. Per questo la strategia di conservazione prevede il controllo degli ibridi attraverso la sterilizzazione o la rimozione degli individui, destinati alle aree faunistiche autorizzate, dove possono essere ospitati e dove la visita a questi esemplari può costituire un utile strumenti di sensibilizzazione del pubblico sul tema dell’ibridazione.
Rientra infine tra gli strumenti che saranno messi a punto nell’ambito del progetto il portale Web Gis destinato a raccogliere e georiferire le segnalazioni di presenza del lupo a livello dell’intero arco alpino (A11).
I CONFLITTI CON GLI ALLEVATORI
I conflitti hanno sempre un’origine: il conflitto che vede opporsi uomini e lupi ha una delle motivazioni più forti e più diffuse nella predazione sul bestiame domestico durante il periodo di alpeggio. Questo costituisce uno dei problemi principali alla convivenza a lungo termine tra lupo e attività antropiche: molti pastori ritengono che la presenza del lupo in alpeggio comporti un insopportabile aggravio di costi, di lavoro e di stress e che la presenza del lupo vada attivamente contenuta in molte zone, in alcuni casi eliminata del tutto.
I danni al patrimonio zootecnico e le tensioni che ne derivano sono massimi nel periodo che segue immediatamente il ritorno del lupo in un nuovo territorio: tendono quindi a diminuire nel tempo mano a mano che vengono messe in atto le misure di prevenzione degli attacchi e via via che il modello di gestione dell’alpeggio si adatta alla nuova situazione dettata dalla presenza del predatore.
Per decenni, infatti, in assenza del lupo, i pastori delle Alpi hanno perso l’abitudine alla convivenza con i grandi predatori e devono adesso adattarsi a impiegare correttamente gli strumenti di prevenzione degli attacchi e a limitare al massimo i momenti in cui pecore, capre e vacche sono lasciate incustodite. Questo vuol dire spese maggiori e un aumento delle ore di lavoro in condizioni già difficili e con margini di guadagno spesso modesti.
Questi problemi sono reali: non vanno minimizzati, ma affrontati dialogando con i diretti interessati, gli allevatori. Una pastorizia di montagna di qualità è un valore ecologico ed economico di interesse prioritario per il territorio e per le aree protette: il mantenimento degli habitat legati ai prati a sfalcio e ai pascoli, la qualità dei prodotti di alpeggio, il valore paesaggistico, ecoturistico e anche culturale dell’attività pastorale sono elementi da tutelare senza se e senza ma…
Per questo molto è già stato fatto e molto ancora rimane da fare nel campo della prevenzione degli attacchi ai domestici: però non tutte le soluzioni si sono rivelate ugualmente efficaci in ogni caso e gli strumenti di prevenzione sono ancora perfettibili. Senza contare che nuove misure vanno studiate e messe in campo per quanto riguarda gli attacchi ai bovini. Colmare queste lacune è uno degli obiettivi di LIFE WOLFALPS.
PREVENZIONE
Il progetto offre la possibilità di adottare e sperimentare misure preventive nelle aree di recente colonizzazione e di testare la validità di nuovi strumenti nelle Alpi Occidentali, dove la presenza del lupo è stabile già da parecchi anni.
LIFE WOLFALPS prevede inoltre l’analisi sistematica dell’efficacia dei diversi strumenti di prevenzione: uno studio utilissimo che non è mai stato svolto in precedenza. In mancanza di una simile analisi, sono state elaborate finora soltanto strategie locali di natura opportunistica, che talvolta sono servite solo a ripetere degli errori, con scarso successo nel contenimento effettivo dei danni e nella soluzione dei conflitti.
La prova delle migliori condizioni di utilizzo dei vari sistemi di prevenzione e l’elaborazione di strategie di pascolo ad hoc, unite all’analisi della vulnerabilità dei pascoli e a un’informazione adeguata degli allevatori sono volte alla riduzione dei conflitti: si auspica che al diminuire dei danni si abbassi infatti il livello di ostilità degli allevatori nei confronti del lupo e migliori la qualità della convivenza tra il predatore e i pastori.
www.lifewolfalps.eu
info@lifewolfalps.eu
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DOMANDE E RISPOSTE SUL LUPO
Storicamente, il lupo era presente sulle Alpi?
Fino a cento anni fa il lupo faceva parte a tutti gli effetti dell’ecosistema alpino. Considerati animali nocivi e cacciati, gli ultimi lupi sono stati uccisi sulle Alpi negli anni ‘20 del Novecento.
Il lupo si è mai estinto del tutto in Italia?
No, in Italia il lupo non è mai scomparso completamente, anche se il rischio di estinzione della specie è stato forte: negli anni ’70 rimanevano in tutto il paese solo un centinaio di individui limitati a poche aree montane dell’Appennino centro-meridionale. Le prime informazioni su quello che rimaneva della popolazione di lupo in Italia le abbiamo grazie a due ricercatori, Luigi Boitani dell’università La Sapienza di Roma ed Erick Ziemen del Max Planck Institut di Monaco, che all’inizio degli anni ‘70, su commissione del WWF, hanno studiato la distribuzione della specie evidenziando che, senza interventi mirati, di lì a poco i lupi si sarebbero estinti del tutto. I tempi erano maturi, qualcosa era finalmente cambiato e una nuova consapevolezza si era diffusa nell’opinione pubblica: il lupo non era più visto soltanto come una potenziale fonte di disturbo, ma anche e soprattutto come un tassello prezioso della biodiversità italiana, da proteggere per garantire l’equilibrio degli ecosistemi. Questa nuova sensibilità è alla base dei primi provvedimenti di tutela a livello nazionale: il decreto ministeriale Natali, del ’71, che ha eliminato il lupo dalla lista degli animali nocivi e proibito l’uso dei bocconi avvelenati, e il Marcora, del ’76, che ha sancito la protezione integrale e il divieto di caccia totale della specie.
Da dove vengono i lupi che si trovano sulle Alpi?
I lupi che si trovano oggi sulle Alpi Occidentali sono lupi della popolazione italiana, i discendenti diretti dei lupi sopravvissuti all’estinzione nell’Appennino centro-meridionale all’inizio degli anni ’70 che da allora hanno ricolonizzato prima le aree dell’Appennino settentrionale per poi ricomparire sulle Alpi Occidentali per espansione naturale all’inizio degli anni ’90. Oggi, sulle Alpi centro-orientali stanno riapparendo per dispersione naturale anche i primi lupi provenienti dalla popolazione dinarica della Slovenia.
Come sono tornati i lupi sulle Alpi?
Sulle loro zampe. A differenza di altre specie, scomparse dalle nostre montagne del tutto o in parte e reintrodotte in seguito dall’uomo, come per esempio il gipeto o lo stambecco, il ritorno del lupo è frutto di una ricolonizzazione naturale, facilitata da alcuni fattori. Lo spopolamento delle zone alpine e rurali e l’abbandono delle coltivazioni hanno portato a un progressivo aumento delle superfici boscate, habitat del lupo e degli ungulati selvatici di cui si nutre. L’aumento delle prede disponibili e la protezione accordata alla specie a livello nazionale ed europeo hanno ulteriormente contribuito a creare condizioni favorevoli al ritorno del lupo sulle Alpi.
Perché i lupi stanno ricolonizzando le Alpi?
Molti si domandano che cosa spinge i lupi a espandere continuamente il loro territorio percorrendo distanze anche di centinaia di chilometri. La risposta a questa domanda si trova tutta nella biologia del lupo e ruota intorno ai due concetti chiave di branco e territorio. I lupi sono organizzati in branchi che sono delle unità familiari che occupano ciascuno un territorio ben definito: all’interno dei confini di competenza di un branco non è tollerata generalmente la presenza di lupi estranei.
La cellula base del branco è costituita dalla coppia alfa, il maschio e la femmina dominanti – la sola a riprodursi – dai cuccioli dell’anno e da un numero variabile di lupi subalterni. In Italia la composizione media di un branco è di 4-6 individui, ma può temporaneamente raggiungere gli 11 animali, come è accaduto di recente in Lessinia.
A ogni generazione, i cuccioli che raggiungono la maturità sessuale hanno di fronte due opzioni: o rimanere nel branco come animali subalterni, con la prospettiva, forse, di scalare un giorno la rigida gerarchia sociale e diventare lupi alfa, oppure abbandonare il branco di origine e partire alla ricerca di nuovi territori dove fondare un altro branco con un animale del sesso opposto. Spesso questa seconda opzione è una scelta obbligata, perché il territorio del branco di origine non sarebbe abbastanza ricco di prede da sfamare un numero maggiore di elementi. Quando i giovani lupi abbandonano il branco alla ricerca di nuovi territori si dice che vanno “in dispersione”. Se consideriamo che il territorio minimo di ciascun branco sulle Alpi ha dimensioni comprese tra i 150 ed i 400 kmq, è facile capire che i lupi in dispersione devono fare un bel po’ di strada prima di potersi insediare in una nuova zona!
Se poi pensiamo che nell’arco delle ventiquattro ore, e principalmente nelle ore notturne, i lupi possono compiere spostamenti fino a 35-40 km, iniziamo a capire che non solo è possibile che dagli Appennini si siano spostati, di generazione in generazione, fino a raggiungere le Alpi, ma anche che si è trattato di un processo dettato dalle necessità naturali della specie.
Di sicuro, il ritorno del lupo è stato agevolato da una serie di fattori favorevoli: lo spopolamento delle campagne e delle montagne con il conseguente aumento delle superfici boscate, l’aumento delle prede a disposizione dei lupi (gli ungulati selvatici), la protezione legale della specie e le campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Come si contano i lupi?
La stima del numero di lupi e del numero di branchi viene determinata tramite la combinazione di tecniche non invasive: la conta tramite tracciatura su neve (snowtracking) durante l’inverno, la tecnica di wolf-howling (che consiste nel produrre ululati per stimolare risposte da parte dei lupi presenti nei dintorni, per registrarne la presenza e la consistenza numerica), le osservazioni certe documentate e le analisi genetiche condotte su campioni organici. In particolare, queste ultime si basano sull’estrazione di DNA dalle feci dei lupi o da altri campioni biologici, dalle quali è possibile determinare, tramite l’analisi di “loci micro satellite” (particolari porzioni del genoma), il genotipo unico dell’individuo, che costituisce “una carta d’identità” del lupo campionato.
L’analisi genetica sugli escrementi permette quindi di studiare gli spostamenti dei singoli lupi nel corso delle stagioni e stimare il numero dei lupi presenti senza dover catturare fisicamente gli animali. Ma non è solo il numero minimo dei lupi presenti la stima importante da effettuare. Il branco è l’unità in base alla quale vengono conteggiati i lupi, perché è la presenza più stabile e più facile da documentare su un territorio: un branco viene stato stimato come tale se costituito da più di due individui, e/o se ne è stata documentata la riproduzione, e/o se due individui di sesso opposto hanno mantenuto il territorio stabile per minimo due anni consecutivi. È intuitivo capire che un monitoraggio attendibile della popolazione di lupo a livello alpino richiede un lavoro di squadra complesso e coordinato, condotto sul campo in modo sistematico da persone ben preparate.
Quando e quanto si riproducono i lupi?
I lupi si riproducono una volta sola all’anno. Gli accoppiamenti avvengono tra febbraio e marzo e solitamente si riproduce soltanto la coppia dominante, formata dal maschio e dalla femmina alfa.
I cuccioli nascono tra fine aprile e la metà di maggio dopo una gravidanza di 63 giorni. Le femmine partoriscono in media 3-4 piccoli per ogni cucciolata, ma nel primo anno di vita la mortalità tra i giovani lupi è alta e non tutti riescono a raggiungere l’età adulta.
Il lupo può essere pericoloso per l’uomo?
Nel passato sono stati documentati attacchi in contesti rurali e alpini molto differenti da quelli di oggi, in cui la presenza umana era maggiore e il numero di prede selvatiche a disposizione del lupo di molto minore.
Inoltre una gran parte degli attacchi all’uomo sono da attribuirsi ad animali affetti da rabbia, malattia non documentata per l’Italia dal 1997 al 2008 e oggi limitata a un numero limitato di animali, soprattutto volpi, concentrati nelle regioni italiane orientali (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige).
La probabilità di essere aggrediti oggi da un lupo affetto da rabbia è dunque prossima allo zero. Inoltre le vittime aggredite in passato spesso erano bambini lasciati da soli a sorvegliare gli animali al pascolo, una pratica diffusa in Italia fino a fine 1800.
Oggi come allora il lupo è un predatore carnivoro opportunista e intelligente, che non riconosce l’uomo come possibile preda, ma lo identifica come una minaccia da cui allontanarsi il più rapidamente possibile. In una situazione di abbondanza di prede in natura, e nel contesto ecologico-sociale contemporaneo, non rientra nella sua strategia di carnivoro intelligente l’attaccare degli obiettivi difficili e potenzialmente pericolosi come gli esseri umani. Infatti in Italia, almeno a partire dalla Seconda guerra mondiale, non sono stati più registrati attacchi all’uomo.
Come si spiega la paura del lupo?
Noi, come tutti gli altri esseri viventi, siamo figli di una lunga storia evolutiva, che certamente prevede la paura dei carnivori, che sono stati per millenni nemici e competitori dei nostri progenitori. Su questa paura ancestrale che ci portiamo dentro si sono innestate nel corso dei secoli leggende, dicerie e favole che dipingono il lupo come un concentrato di malvagità. Ma oggi le nostre azioni e i nostri pensieri possono e devono trovare ispirazione nella ragione e nella conoscenza, che suggerisce di avere un atteggiamento di prudenza e rispetto nei confronti dei grandi carnivori. Molti filtri culturali hanno distorto la nostra visione del lupo, talvolta facendolo apparire più simile a noi (con pregi – pochi! – e difetti – tanti! – umani), più spesso dipingendolo come l’incarnazione del male assoluto. Ma chi è davvero il lupo?
Semplicemente un carnivoro selvatico, sul conto del quale la ricerca scientifica ci ha rivelato quanto basta per provare curiosità, rispetto, ammirazione, ma anche apprensione quando di avvicina ai luoghi del nostro vivere quotidiano. Individuare la giusta distanza fra noi e il lupo è complesso: si tratta di imparare a rapportarsi con i selvatici, che vanno rispettati senza cercare di interferire, senza confidenza né timore.
Cosa mangia il lupo?
Il lupo è un predatore generalista e opportunista: il contrario di un animale schizzinoso. Infatti, se le sue prede d’elezione sono gli ungulati selvatici (principalmente cervi, caprioli, daini, camosci, mufloni e cinghiali), non disdegna il bestiame domestico, le carcasse di animali morti, Molto raramente può utilizzare la frutta e – forse più nel passato – la spazzatura. È stato stimato che il fabbisogno giornaliero di carne varia dai 3 ai 5 kg e aumenta durante il periodo riproduttivo. I lupi possono sopravvivere digiuni per più giorni e mangiare poi fino a 10 kg di carne in una volta sola: una capacità che risulta molto utile, se di tiene conto del fatto che solo il 10% delle cacce va a buon fine!
Le carcasse di animali che ogni tanto capita di trovare camminando in montagna, sono resti di predazioni da lupo?
Una bella domanda, cui spesso nemmeno uno specialista è in grado di dare una risposta sicura al 100%, a maggior ragione se è già passato un po’ di tempo dalla predazione. In alcuni casi il luogo del ritrovamento, le caratteristiche della preda e le sue modalità di consumo permettono di attribuire in modo abbastanza sicuro una predazione al lupo piuttosto che a un cane inselvatichito. Ma la stragrande maggioranza delle ossa in cui capita di imbattersi lungo i sentieri appartengono ad animali morti per vari motivi (malattia, valanga, vecchiaia, incidente, …), i cui resti sono stati in seguito scrupolosamente spolpati dai carnivori (volpi, gipeti etc. …) e ripuliti dagli insetti.
I lupi predano il bestiame domestico?
Sì: i lupi, se ne hanno l’occasione, attaccano il bestiame domestico. In assenza di forme di protezione, gli animali domestici sono più vulnerabili, cioè più facili da predare, di qualsiasi selvatico. Le specie domestiche più attaccate sono pecore e capre, animali di taglia ridotta, ma anche vitelli e puledri, soprattutto al pascolo d’alpeggio nei mesi estivi. A livello italiano, la perdita complessiva provocata dagli attacchi del lupo è una frazione irrilevante della mortalità complessiva registrata sul bestiame, ma in alcuni casi, sul singolo allevatore può assumere dimensioni importanti.
Talvolta i danni indiretti sono anche più gravi della predazione di per sé e consistono in aborti, ferite, fuga del bestiame e perdita di produzione del latte. Il conflitto tra allevatori e lupo è maggiore dove il predatore è tornato da poco tempo, ovvero nelle zone in cui si era persa l’abitudine a sorvegliare gli animali in alpeggio e ad adottare sistemi di difesa.
Ci sono dei sistemi per prevenire gli attacchi al bestiame domestico?
Esistono diversi metodi di prevenzione, che permettono – se non di eliminare totalmente – almeno di avvicinare allo zero gli attacchi al bestiame domestico. Non esiste “il” sistema di prevenzione migliore in assoluto: a seconda del tipo di azienda agricola e delle caratteristiche del pascolo che si vuole proteggere, un metodo può rivelarsi più o meno adatto. In ogni caso i due sistemi di prevenzione più utilizzati sono l’utilizzo delle recinzioni elettrificate, per rinchiudere il gregge specialmente di notte, e la difesa dei cani da guardiania. Di sicuro è la combinazione di diverse misure di prevenzione a permettere di ottenere i risultati migliori. Quali che siano i metodi di prevenzione impiegati, perché siano davvero efficaci è tuttavia indispensabile la presenza del pastore in alpeggio: è il pastore che decide come disporre le recinzioni elettrificate ed è sempre il pastore che deve gestire i cani da guardiania addestrati per difendere il gregge… il che implica un surplus di lavoro e di stress non indifferente! Attualmente si stanno sperimentando e raccogliendo i dati sul funzionamento di dissuasori acustici e ottici, tra cui i fladry, che sono bandierine di colore rosso di dimensioni 8 x 50 cm disposte lungo un filo di nylon a intervalli di circa 50 cm una dall’altra. Da studi effettuati all’estero è stato dimostrato che tale sistema rappresenta per il lupo una barriera difficilmente attraversabile. I dissuasori acustici sono dispositivi che emettono segnali acustici a orari prestabiliti. Si tratta di metodi efficaci a breve termine, perché l’effetto di dissuasione può attenuarsi sul lungo periodo.
Cosa faccio se un cane da guardianìa mi viene incontro?
Può capitare durante le nostre escursioni di incontrare un gregge custodito da cani da guardiania, che sono cani da difesa del gregge. È importante in questo caso tenere presente una cosa: tutti i cani sono dei potenziali predatori e in quanto tali reagiscono rincorrendo la preda nel momento in cui questa si dà alla fuga. Quindi, quando questo grosso cane bianco – di solito un pastore maremmano o abruzzese – ci viene incontro con un atteggiamento aggressivo, anche se siamo spaventati, non dobbiamo fuggire per nessun motivo.
Anche se ringhia o abbaia, non dobbiamo mai (mai!) lanciare pietre, agitare bastoni o altro cercando di apparirgli minacciosi: la nostra situazione rischierebbe soltanto di peggiorare. Stiamo calmi e aspettiamo il pastore, che di sicuro si è accorto della situazione e interverrà richiamando il cane.
In ogni caso, fermiamoci e lasciamo avvicinare il cane da guardiania parlando tranquillamente, con fermezza, facendogli capire che non siamo una minaccia. Teniamo i bambini per mano per evitare che, spaventati, si mettano a correre. Se il pastore non compare e il cane non sembra convinto delle nostre buone intenzioni, indietreggiamo lentamente e torniamo sui nostri passi senza giragli la schiena, poi troviamo un percorso alternativo per proseguire a distanza di sicurezza dal gregge.
Adottando questo comportamento, in genere, le cose vanno a posto da sole e potremo proseguire la nostra escursione senza intoppi. In ogni caso, la cosa migliore per scansare i guai è evitare di avvicinarsi al gregge o, peggio ancora, di cercare di attraversarlo o di accarezzare un animale, perché questo comportamento mette in allarme il cane da difesa: troviamo per tempo un percorso alternativo o aspettiamo con pazienza che il gregge sia transitato. Non dimentichiamo che noi siamo in vacanza, il pastore e il suo cane no: bisogna rispettare il loro lavoro!
È facile avvistare un lupo?
Decisamente no. A meno di non essere lo sfortunato pastore di un alpeggio particolarmente soggetto agli attacchi, è estremamente difficile avvistare un lupo. Basti pensare che ci sono ricercatori e volontari che monitorano da anni la presenza del lupo in Piemonte e, pur avendo collezionato decine e decine di impronte ed escrementi, non hanno mai avuto occasione di incontrarne uno!
Cosa faccio (e cosa non devo fare) se incontro un lupo?
L’uomo ha perseguitato da sempre il lupo, tanto è vero che questo predatore si sente minacciato dalla nostra presenza e raramente si lascia avvicinare. Talvolta i giovani animali sono meno diffidenti, ma è certo che non si lasciano avvicinare se sono in buona salute. Bisogna anche considerare che se si osserva da vicino un lupo vuol dire che forse i suoi sensi, molto più sviluppati dei nostri, non gli hanno permesso di intercettarci, magari perché il vento era a nostro favore. In ogni caso, se ci imbattiamo in un lupo, è preferibile non fare alcunché. Nel caso lo si sorprenda da vicino, si avrà poco tempo per vederlo fuggire via. Una volta che si è allontanato, evitiamo di seguirlo. Se proprio siamo spaventati, possiamo far rumore, urlando e agitando le braccia: ciò servirà anche a scaricare un po’ dell’adrenalina che questo emozionante incontro ci avrà procurato. Nel caso invece lo si osservi da lontano, non agitiamoci e restiamo in silenzio: godiamoci questo momento che molto probabilmente sarà uno dei rari ricordi che avremo del lupo, animale schivo e difficilissimo da avvistare. Se poi capitasse di assistere a una predazione su animali selvatici, non dobbiamo interferire in nessun modo con l’azione di caccia del lupo per “salvare” la preda: il lupo è un fattore di selezione naturale dell’ambiente e come tale va rispettato. Se invece incontriamo dei lupi che stanno già mangiando una preda, evitiamo di disturbarli allontanandoci subito in silenzio. Se per caso i lupi scappassero, spaventati dal nostro arrivo imprevisto, evitiamo comunque di avvicinarci e di toccare la carcassa predata.
In ogni caso, se avete la fortuna di avvistare un lupo, annotatevi giorno, luogo e ora e segnalate la vostra osservazione tramite l’apposito modulo sul sito www.lifewolfalps.eu: il vostro contributo è importante per il monitoraggio del lupo!
Cosa faccio se trovo un lupo morto o ferito?
Bisogna chiamare immediatamente le Istituzioni competenti di fauna selvatica più vicine al luogo di ritrovamento, come il Corpo Forestale dello Stato, le Polizie Provinciali, i Parchi Naturali o Nazionali della zona.
Dove si curano i lupi feriti?
I lupi feriti si curano in centri di recupero della fauna selvatica o in recinti faunistici idonei e autorizzati per la custodia della specie protetta.
I lupi feriti, una volta curati e guariti, tornano in natura?
I lupi feriti vengono curati allo scopo di restituirli nel più breve tempo possibile alla vita selvatica. Solo nei casi di incidenti che causano danni permanenti agli animali o quando la permanenza dell’animale in cattività è troppo lunga per un reinserimento di successo in natura, i lupi vengono trattenuti all’interno delle aree faunistiche.
Dove posso vedere i lupi?
In natura il lupo è un animale estremamente schivo e difficile da incontrare. Un buon modo per soddisfare la curiosità di vedere un lupo, imparando nel frattempo molte cose interessanti sul suo conto, è quello di visitare un’area faunistica, come il Centro faunistico “Uomini e lupi” di Entracque (CN).
Le aree faunistiche allevano lupi per poi rilasciarli?
Assolutamente no. Le aree faunistiche non “allevano” lupi e tanto meno li rilasciano. Le aree faunistiche sono centri di recupero temporanei per animali incidentati o feriti e bisognosi di cure. Ospitano in maniera permanente soltanto animali che non potrebbero più tornare a vivere in natura.
Che cosa sono gli ibridi?
Gli ibridi sono incroci fra lupi e cani: lupo e cane sono biologicamente la stessa specie e dal loro accoppiamento deriva una progenie feconda. Negli ultimi venti anni si sono intensificate le segnalazioni di lupi con caratteristiche morfologiche difformi da quelle standard del lupo italiano (lupi neri o di colore pezzato, presenza dello sperone, unghie bianche, prognatismo e anomalie della dentizione, ecc.). Inoltre le analisi genetiche condotte con tecniche sempre più raffinate hanno permesso di confermare che alcuni esemplari di canidi selvatici (in Toscana e altrove) sono in realtà ibridi non solo di prima generazione (risultanti dal primo incrocio di un lupo con un cane), ma anche ibridi successivamente introgressi nella popolazione lupina: esemplari ibridi sono stati confermati nel Mugello, nel Senese, nell’Amiata grossetano e nel Parco naturale della Maremma.
Gli ibridi possono essere un problema per i lupi in natura?
L’aumento del tasso di ibridazione lupo-cane, favorito dal fenomeno del randagismo e dei cani vaganti, rappresenta una grave minaccia per il lupo, poiché costituisce una fonte di inquinamento genetico e comporta la perdita irrimediabile di adattamenti acquisiti nel corso di milioni di anni attraverso la selezione naturale. L’ibridazione costituisce una minaccia alla conservazione del lupo da almeno tre punti di vista:
1. la formazione degli ibridi e la loro introgressione nella popolazione di lupo sono una minaccia alla sopravvivenza del lupo come specie;
2. per l’inasprimento dei conflitti con l’uomo, poiché gli ibridi causano gli stessi danni del lupo, ma la colpa è attribuita al lupo con conseguenti ripercussioni per l’immagine e l’accettazione sociale della specie;
3. per il vuoto normativo sulla questione, poiché gli ibridi non sono identificati nell’attuale quadro normativo nazionale: non sono protetti dalla legge quadro sulla caccia (L.N. 157/92), ma neanche contemplati dalla legge sul randagismo canino (L.N. 281/91) né dai regolamenti per l’indennizzo dei danni. Questa situazione pone seri problemi legali per la gestione sia degli animali ibridi che dei danni da loro causati.
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