di MARIO CAVARGNA (Presidente Pro Natura Piemonte)
“La Stampa” del 16 dicembre 2014 ha pubblicato uno studio molto dettagliato sui costi degli avvenimenti olimpici, tratto evidentemente da documenti di archivio del Comitato Olimpico Internazionale, in cui si affermava che le Olimpiadi di Torino 2006 sono costate 4,1 miliardi di euro: senza contare le opere di compensazione.
Anche se si trattasse di cifre attualizzate al 2014, esse ci forniscono una indicazione di quanto costerebbe una nuova edizione. Si possono togliere 300 milioni supponendo di riciclare, riammodernandoli dopo 20 anni, gli impianti di gare (che in tutto costarono 600 milioni) ma, per contro, bisognerebbe tener conto di altrettanto per un minimo di adeguamento dei prezzi da qui al 2026 e della costosissima manutenzione dei principali di questi impianti sino alla data fatidica. Per gli altri costi, sulle spese di organizzazione non si possono fare grandi risparmi, per i 6 – 7 villaggi olimpici non ci sono variazioni, mentre per gli interventi sulla viabilità si prevedono a preventivo “soli” 400 milioni di euro contro gli 800 spesi a consuntivo per il 2006.
Ma il punto da approfondire sono la provenienza dei soldi, per sfatare il mito della proposta attuale che immagina un contributo CIO che piova dal cielo.
Bisogna anzitutto aver ben presente che ci sono stati due bilanci: il primo è quello del Comitato Organizzatore Toroc, che si è occupato solo della organizzazione, di cui si sa nulla tranne che è andato in deficit di oltre 200 milioni, che sono stati coperti da un contributo straordinario del Governo e da un “gratta e vinci”, successivo.
Il secondo è stato quello l’Agenzia olimpica, che si è occupata solo delle opere da realizzare, di cui conosciamo il rendiconto delle circa cento opere compiute al 31 dicembre 2017 per 1.850 milioni di euro, ma non sappiamo la provenienza esatta dei fondi: 1.184 milioni li ha messi la legge speciale, 36 la Regione, 400 almeno vengono dai mutui accesi dal comune di Torino.
Quello che è certo che il CIO finanzia solo il comitato promotore Toroc e non gli impianti. Il Toroc si è finanziato raccogliendo contributi dal mondo bancario ed industriale e sopratutto sfruttando il marchio olimpico, gli sponsor, i diritti televisivi e la vendita dei biglietti. Ma poiché il marchio olimpico è proprietà del CIO, questo significa che il CIO ha dato il suo finanziamento, non attraverso un contributo in denaro, ma con la cessione di sfruttamento dei suoi diritti. Questo è importante per valutare la famosa affermazione che ci sia un contributo del CIO di 900 milioni di euro per le prossime olimpiadi invernali: con ogni probabilità, si tratta, per la massima parte, del calcolo dei ricavi da sponsor e diritti televisivi e di biglietti, non di una cifra concreta in banca.
Quindi le favole raccontate in proposito per lanciare la proposta del 2026, devono tenere conto che, nell’edizione del 2006, questo aiuto non è bastato a coprire neppure i costi di pura organizzazione, e non ha riguardato assolutamente le opere edili, dove il contributo del governo alla fine è risultato insufficiente e per il comune di Torino è finita in un bagno di lacrime.
P.S. “L’architetto Alberto Sasso esponente dei 5 Stelle, incaricato di elaborare uno studio di fattibilità delle Olimpiadi 2026 a Torino, nell’intervista a Repubblica del 15/6/2018 afferma: “Io giudico positiva la gestione di Torino 2006 perché gli impianti sono in buono stato, la manutenzione è stata fatta grazie ad una parte dei soldi che sono stati resi disponibili dopo”.
Noi ci chiediamo: l’architetto Sasso è stato in gita a Pragelato per vedere la condizione dei trampolini o, peggio ancora, a Cesana Torinese per vedere i resti del bob?
METTERE DA PARTE CORDA E SAPONE.
Finché non leggero’e giudichero’un serio piano di fasttibilita’,non potro’che dubitare di sole belle parole.Dov’e’ il piano ? Dove sono i numeri?Quali le voci di spesa? quali i ricavi attesi? in quanti anni si ripaga l’investimento? Attendo risposte
Rivolgo un sentito invito all’Arch. Sasso e al suo amico Grillo Giuseppe.
Provino ad acquistare una buona vettura usata dell’epoca (2006), ad esempio una Vw Passat o un Toyota Rav 4, non una Fiat 16 4×4, taroccata da una preesistente Suzuki e del tutto scomparsa dal mercato dell’usato, e a farla durare con le migliori manutenzioni sino al 2026.
Toccheranno con mano, giorno per giorno, un credibile confronto con il trionfale cammino di bob e trampolino verso il fatidico appuntamento, con la sola differenza che Volkswagen e Rav 4 qualche speranza di farcela potrebbero ancora averla.
In una famiglia sana, prima di dare altri soldi al figlio che ha i suoi progetti, non sarebbe il caso di chiedergli una rendicontazione dettagliata di ciò che in passato i progetti hanno già comportato e se ci sono ancora pendenze?
E se tutti i fornitori sono stati pagati, o se invece son rimasti fregati da fallimenti o altro.