RAGAZZO DI GIAVENO INIZIA UNA CURA INNOVATIVA CONTRO LA SMA ALLE MOLINETTE: LA STORIA DI ANDREA

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Andrea Bes alle Molinette

di PAOLA TESIO

GIAVENO / TORINO – La strada della ricerca è un cammino indispensabile, soprattutto nel campo nelle malattie rare. L’entusiasmo di Andrea Bes che traspare dal suo volto è il messaggio più chiaro per ringraziare di questa innovativa e promettente cura che consentirà di avere opportunità di guarigione a chi come lui, è affetto dalla Sma (Atrofia Muscolare Spinale). Si tratta di una patologia associata ad un difetto del cromosoma 5q cui sintomi generalmente si manifestano in età infantile sin dalle fasi successive alla nascita. Viene classificata come malattia rara per il numero limitato dei pazienti. Proprio per questo il nuovo farmaco, denominato Spinraza, è considerato un “medicinale orfano”. La somministrazione avviene mediante un’iniezione lombare insufflata direttamente nel liquido cefalorachidiano (CSF) attorno al midollo spinale, sito della degenerazione dei motoneuroni causata da livelli insufficienti della proteina SMN. Questa nuova cura rappresenta la speranza perché riduce il rischio di mortalità dei pazienti, facendo sì che la respirazione torni ad essere autonoma rallentando la degenerazione a livello motorio.

Abbiamo intervistato Andrea Bes che ci ha parlato del suo percorso.

«Martedì scorso è stato il primo giorno in cui ho iniziato la nuova cura. Le Molinette è un ospedale di eccellenza dove ho trovato un’equipe specializzata ed accogliente dal punto di vista umano. Quando si entra in un luogo come questo il rapporto medico paziente è fondamentale, perché si è nervosi e si ha paura. Se si trova del personale che instaura un approccio umanitario tutto diventa meno difficile».

Avere un medico che ti accoglie in questi casi è importante. Come viene praticata questa terapia?

«Sì è stato fondamentale. Questa terapia viene praticata mediante una puntura lombare e il liquido iniettato direttamente nel midollo spinale. Si tratta di un procedimento molto delicato soprattutto per gli adulti affetti da Sma, perché dopo anni di patologia vi sono delle complicazioni alla colonna vertebrale: scoliosi di vario genere, e casi più gravi che hanno dovuto subire operazioni con inserimento di placche per avere un maggior sostegno. Pertanto praticare questo tipo di puntura è estremamente difficile, ma sono stati talmente bravi che non me ne sono neppure accorto. A mio avviso l’equipe delle Molinette è una delle migliori che ci sia in Italia. Sono riusciti anche a fare l’iniezione ad un paziente operato alla schiena e con presenza di placche di metallo, una procedura complessa che qui, a differenza di altri ospedali, praticano».

Quali sono i tempi di degenza?

«Questa cura viene fatta in day hospital, adesso ho fatto la prima somministrazione, tra due settimane ci sarà la seconda e poi le altre ogni due settimane fino ai primi di luglio. Successivamente verranno somministrati i test, a cui seguirà un periodo di pausa di quattro mesi e la seconda fase intorno a novembre. Se la cura darà un minimo risultato si andrà avanti scaglionando l’iniezione fino ad allungare i tempi di somministrazione. Presumo che se il risultato si stabilizzerà non sarà più necessario praticarla».

Come sei venuto a conoscenza di questa terapia?

«Seguivo l’evolversi da un paio d’anni perché sono in contatto con una rete di famiglie Sma, anche su Facebook. Si crea una comunità, che è indispensabile per scambiarsi esperienze e consigli. La mia è una malattia rara; in passato non veniva presa troppo in considerazione. Grazie alle campagne di sensibilizzazione, alle raccolte fondi (era stata ideata anche una pubblicità con Checco Zalone) è stato possibile focalizzare l’attenzione sulla ricerca. Purtroppo quando si è davanti ad una malattia rara difficilmente le case farmaceutiche hanno interesse ad investire, perché non c’è business. Dovrebbero farlo i governi stanziando dei fondi. La nuova terapia di cui stiamo parlando non è una medicina ma è l’unica medicina per la mia malattia. Non ne hanno mai approvate altre, fino ad ora. Prima per la Sma venivano somministrati solo dei farmaci “palliativi”, integratori per aumentare un po’ le energie, supporti come cheratina o carnitina, ma erano semplicemente degli aiuti».

Quindi sei venuto a conoscenza della cura in anticipo grazie alla rete?

«Sì abbiamo dei gruppi denominati “Famiglie Sma” o “Spinraza” (dal nome della medicina). Un anno fa il farmaco è stato approvato negli Stati Uniti e quindi quando l’abbiamo saputo eravamo tutti molto speranzosi. Successivamente l’agenzia europea del farmaco ha dato il via libera, seguita ad ottobre da quella italiana, a quel punto anche da noi è diventata la medicina ufficiale. Fortunatamente è stato un processo veloce, perché dopo la sua ufficializzazione a fine 2017 a Torino già a gennaio 2018 hanno iniziato a somministrare la terapia ai bambini. Viene data prima a loro, ed è giusto, perché non essendo ancora cronicizzati hanno risultati migliori. Se si è presi in tempo la situazione è completamente differente. In seguito sono stati chiamati gli adulti. Vi sono delle differenze tra le varie regioni perché non è detto che in tutte sia data, per gli adulti, la possibilità di accedervi. Al momento non ci sono garanzie assolute per gli adulti e i benefici si scopriranno strada facendo. Ricordo che avevo fatto un post con su scritto “Finalmente anche in Italia c’è!”. Siamo stati fortunati perché la Regione Piemonte ha stanziato subito i fondi per un progetto rivolto anche alla nostra fascia d’età» .

Quindi dipende dalla disponibilità finanziaria di ogni regione?

“Sì. La Regione Piemonte è stata tra le prime a stanziare i fondi anche per il progetto degli adulti. Ad esempio mi ha scritto una signora di un’altra regione informandomi che lei inizierà solo a fine anno. Siamo stati scaglionati a gruppi. Siamo contenti perché inizialmente eravamo molto preoccupati che la cura non venisse praticata sugli adulti soprattutto dopo anni di sforzi spesi nella campagne di sensibilizzazione e nelle raccolte fondi, in molti infatti mi hanno visto a Giaveno personalmente impegnato nella distribuzione di volantini. Invece le regioni si sono mosse anche per noi. La cura non può essere fatta al di fuori della Regione di residenza, per una questione di stanziamento dei fondi a livello regionale e relativa localizzazione dei centri di somministrazione. Se nella località in cui si vive non è presente un centro presumo si possa essere accolti altrove. Il problema sostanzialmente sono i budget: si tratta di una “piccola” medicina dai costi però elevati».

Come sottolineavi tu prima, essendo una cura legata ad un’utenza limitata, gli investimenti sono difficili

«Al momento l’industria farmaceutica che ha dato il via alla realizzazione di Spinraza ha il monopolio, però la cosa positiva è che altre case farmaceutiche hanno manifestato il loro interesse e pertanto sono già in fase di approvazione».

Alle Molinette come funziona?

«Il ricovero per la somministrazione della cura avviene in day hospital, si è accolti da un’equipe multidisciplinare, c’è la neurologia, c’è uno specialista in anestesia e l’iniezione viene praticata attraverso l’ausilio della tac».

A Giaveno c’è un’associazione attiva?

«Al momento no, seguo le due associazioni nazionali “Famiglie Sma” e sono iscritto ad “Asamasi” (associazione studio Sma- atrofia muscolare spinale). Qui in zona non vi sono sedi, la più vicina è a Torino. Mi sarebbe piaciuto che se ne aprisse una nella mia città. Vorrei proporre questa idea, l’importante è che non rimanga il solo a portarla avanti».

Giaveno è una citta molto attiva dal punto di vista dell’associazionismo, sicuramente incontrai altre persone lungo il cammino.

«È un sogno che mi piacerebbe realizzare: una sede che sia operativa e copra il territorio della Vals Susa e della Val Sangone. Sarebbe utile per dare notizie ed informazioni. Tante persone a volte hanno bisogno di ricevere supporto ed essere informati».

A che età può essere diagnosticata la Sma?

«Nel mio caso ero molto piccolo, avevo meno di due anni. All’epoca non si facevano studi accurati nell’ambito della genetica ma posso ritenermi fortunato: nonostante la ricerca fosse agli albori, la malattia mi era stata diagnosticata da un medico tra i migliori al mondo che già in quegli anni l’aveva associata ad una forma di atrofia. La patologia era difficile da evidenziare, i nostri disturbi venivano incanalati in quelli neuromuscolari, oppure associati alla distrofia muscolare. Ma si trattava di un’altra cosa. Quel dottore era riuscito a capire che la malattia da cui ero affetto era un ramo diverso e l’aveva correttamente rilevata: io sono stato uno dei primi casi in Piemonte ad essere stato diagnosticato. Poi nel corso del tempo è stata definita Sma, una specifica patologia neuromuscolare. L’altro giorno alle Molinette ho incontrato la professoressa Tiziana Mongini che mi ha raccontato che lei, quaranta anni fa, studiava con questo luminare. Lui gli aveva fatto vedere proprio il mio caso. Mi ha detto che ero stato il primo che aveva visto, e che ero molto piccolo: “Mi ricordavo perfettamente di te e ti ho incontrato qui dopo tutti questi anni!” mi ha detto. L’equipe delle Molinette ha contattato ogni paziente preso in carico nel corso del tempo per sottoporlo alla nuova cura».

La presa in carico del paziente e la rete sono elementi fondamentali in questo percorso di cura?

«Sì perché proprio grazie alle rete sono venuto a conoscenza dell’esistenza di questa terapia prima che venisse approvata in Italia e iniziavo ad informarmi presso i medici della sua fattibilità».

Un rapporto medico paziente basato anche sul dialogo

«L’informazione per noi è fondamentale. Una decina di anni fa, sempre alle Molinette, avevo dato la disponibilità per la sperimentazione in ambito della ricerca. In quel caso non c’erano stati esisti positivi, ma pazienza, ho comunque provato!»

Vuoi aggiungere qualcosa che ritieni importante?

“ L’aspetto che vorrei evidenziare è la grande umanità che ho trovato nell’equipe dell’ospedale Molinette. Quando vieni accolto da quella straordinaria gentilezza entri a cuor leggero. Vorrei inoltre sottolineare l’importanza della ricerca, che tanti tendono a sminuire. Se non fosse stato per la ricerca io una medicina non l’avrei ancora. Capisco anche che la cura costi molto, ma bisogna ricordare che la multinazionale in questione ha investito risorse su una malattia considerata rara. Non stiamo parlando di farmaci ad uso diffuso, per cui vi è un rientro economico nettamente inferiore. Chi investe in questo settore non ha un bacino ampio di utenza e probabilmente grazie alle nuove scoperte e ai progressi futuri i casi saranno sempre minori. Quindi c’è stato uno sforzo non indifferente da parte della casa farmaceutica. Non bisogna sempre parlar male della ricerca e delle multinazionali, soprattutto quando, come in questo caso, si riesce a trovare una cura”.

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