SANGANO, IL CASO DI UNA RAGAZZA DOWN: “NON LE PERMETTONO DI LAVORARE, NEGATI I SUOI DIRITTI”

La replica dell'Asl: "Il giudizio è stato espresso da un'apposita commissione. Il caso si può rivalutare". Venerdì un incontro con la famiglia

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di ANDREA MUSACCHIO

SANGANO – Un hashtag (io sto con Martina) diventato virale nel giro di poche ore. Una storia che chiede di essere raccontata ed ascoltata. Stiamo parlando della vicenda di Martina Cipolla, una ragazza di 21 anni, affetta dalla sindrome di Down. Marty (così la chiamano tutti) abita a Sangano e quest’anno si diplomerà presso l’istituto tecnico Galileo Galilei di Avigliana. È una ragazza solare, ama nuotare e soprattutto lavorare. Proprio per questo è arrabbiata e delusa. Lo scorso 18 settembre, a Martina Cipolla sarebbe stata negata la possibilità di usufruire dei benefici della legge 68/99, che “ha come finalità la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”. Secondo la testimonianza della madre, la commissione avrebbe preso questa decisione in quanto Martina non avrebbe l’uso sufficiente delle braccia e delle gambe, oltre al fatto che non riesce a muoversi autonomamente.

Da qui lo sfogo di Barbara: lei sa benissimo che sua figlia non è cosi. Martina nuota, prende il bus autonomamente (da 4 anni) per andare a scuola e, lo scorso luglio, ha anche lavorato in un asilo tramite l’alternanza scuola-lavoro. Per questo motivo ha deciso di scrivere una lettera a cuore aperto su Facebook, correndo in difesa della sua Marty, spiegando il suo punto di vista sulla vicenda, usando talvolta parole forti.

Ho aspettato di far scemare un po’ la mia rabbia prima di scrivere questo mio post, che volutamente è pubblico – scrive Barbara sul social network – Come tutti ormai sanno, a Martina è stata negata a settembre la Legge 68. Prima di dare inizio ad un ricorso, si è pensato di tentare delle vie più “soft” per tutti, convinti di avere le carte in mano per smontare la loro “non collocabilità” e, soprattutto, a testimonianza che quanto avevano riportato non era conforme a verità, per lo meno la passassero rivedibile. Due colloqui con il medico legale a capo della commissione del distretto di Giaveno, non sono serviti a farmi spiegare da lui da dove avesse preso le informazioni che lo avevano portato a formulare tale responso, dimostrando se non altro che non solo hanno crocettato a caso il questionario, ma non hanno neppure letto tutte le relazioni stilate dai tecnici che erano in loro possesso. A prescindere hanno deciso (o ha deciso) che Marty, avendo la sindrome di down, non è in grado di vestirsi, lavarsi e muoversi autonomamente. Praticamente mi ha detto che tutti quelli con la sindrome di Down, usando proprio queste parole, sono gravi se non gravissimi e che per tanto non possono svolgere nessuna attività lavorativa. Alla mia domanda provocatoria, “cosa faccio la rinchiudo in un centro diurno?” La sua risposta è stata che potrebbe essere un’idea”.

Il messaggio prosegue: “Il resto lo tralascio, perché ha tirato fuori il peggio di me e gli ho detto chiaramente che quella convulsione altro non era che discriminazione a priori. Per poi scoprire che un altro ragazzo, passato dopo di noi in commissione lo stesso giorno, ha in mano una relazione di non collocabilità identica e precisa alla nostra. Stesse conclusioni, stesse voci crocettate con egual punteggio. Beh che dire, se non che in caso di Sindrome di down la commissione in questione evidentemente ha già le relazioni pronte in copia, a cui aggiungono solo il nominativo del ragazzo. È una cosa vergognosa. Tra l’altro un medico legale che nel 2020 usa ancora i vecchi parametri, decaduti nel 2002 per la percentuale di invalidità lo trovo inammissibile”.

La conclusione alla luce dei fatti è che se avete un figlio con Sindrome di down e abitate in Val Sangone e dipendete dalla Commissione di medicina legale del distretto di Giaveno, che fa capo al Dottore in questione e volete richiedere la Legge 68, dovete cambiare residenza per dare la possibilità ai vostri figli di passare in una commissione seria e degna di essere cosi chiamata, dove i vostri ragazzi vengono realmente giudicati per ciò che sanno fare e non catalogati come incapaci solo perché hanno la sindrome di down. C’è tanto da riflettere su questo, perché i pregiudizi di questa commissione nei confronti dei nostri figli, fanno si che gli venga negato qualsiasi futuro che gli permetta di essere autonomi. Siamo in mano a persone senza scrupoli a cui poco interessa dei nostri ragazzi. Non mi fermerò certo qui, andremo avanti e non solo per quanto riguarda il ricorso, perché credo che queste persone debbano essere rimosse dal loro incarico” ha concluso la donna.

L’Asl To3 ha cercato di fare chiarezza sulla vicenda, rispondendo in questo modo alle parole della mamma di Martina: “Il giudizio è espresso da una commissione, composta da più figure professionali, come previsto dalla normativa, e da consulenze specialistiche, come avviene abitualmente in casi con situazioni patologiche analoghe a questa – spiegano – La valutazione di collocabilità o non collocabilità è dunque formulata collegialmente, non da un solo medico e ovviamente riguarda la singola persona, con l’utilizzo dei parametri stabiliti dalla normativa vigente e senza relazioni “già compilate”. Inoltre, il giudizio non è definitivo, ma fotografa lo “stato attuale” al momento della visita, lasciando aperta la possibilità di una rivalutazione, qualora subentrino nuovi elementi di giudizio, che posso emergere e si auspica emergano da altre esperienze di integrazione, previste da percorsi alternativi come i Pass (percorsi di attivazione sociale a sostegno di persone con bisogni speciali) e dall’acquisizione di nuove competenze. Avverso il giudizio espresso, entro 6 mesi dalla data di ricevimento della comunicazione da parte dell’Inps, è prevista la possibilità di un ricorso. È altresì sempre possibile, come accennato, presentare una richiesta di rivalutazione. Su entrambe queste possibilità, la Struttura di Medicina Legale della nostra Azienda è a disposizione per ogni eventuale chiarimento o necessità. Se la famiglia lo desidera, la invitiamo a contattare il nostro Ufficio Relazioni con il Pubblico, che rimane il punto di riferimento principale per ogni cittadino che non si ritenga soddisfatto o abbia bisogno di chiarimenti in merito ad una prestazione o un servizio. L’Urp (tel 0121 235099 mail urp@aslto3.piemonte.it) potrà metterla in contatto con il dottor Roberto Massazza, direttore della S.C. Medicina Legale, a disposizione anche per chiarimenti sulle evidenti difficoltà e le incomprensioni emerse nelle occasioni di confronto con un medico della stessa struttura“.

Intanto, venerdì 12 febbraio si terrà un incontro tra la famiglia, il medico legale di parte e l’avvocato della famiglia Cipolla. L’intenzione di quest’ultimi è quella di presentare nei prossimi giorni ricorso, ma solamente dopo il vertice di fine settimana si sapranno le reali mosse della famiglia.

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3 COMMENTI

  1. perchè bisogna sempre alzare la voce, poco o tanto , per ottenere un minimo di attenzione ? Se MArtina è effettivamente autonoma come riportato dalla madre e da altre relazioni tecniche allora lo comissione, o il singolo dottore, devono spiegare la loro differente valutazione; l’affermazione che la relazione fotografava lo stato al momento della visita lascia basiti e sa tanto di improbabile tentativo di sistemare le cose. NOn credo che una ragazza che nuota si muove in autonomia ed ha svolto attività presso enti terzi si blocchi proprio il giorno della visita e poi tutto torni normale.

  2. più conosco persone che operano in strutture pubbliche e quindi lavorano per la comunità e più preferisco stare con il mondo animale.

  3. Il mio ruscontro oggettivo, vissuto sulla pelle di mia figlia, sui medici Asl é che alcuni non hanno la formazione, non hanno le competenze, non ha l’esperienza adatta e la giusta umanita.

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