Uncem ha inviato una lettera ai Parlamentari piemontesi, ai Viceministri Costa, Olivero e Morando, chiedendo un immediato intervento per eliminare l’Imu sugli impianti a fune dopo la sentenza della Corte di Cassazione che li ha declassati da servizio di trasporto pubblico, di pubblica utilità, ad attività commerciali funzionali alle piste da sci.
L’Uncem, in accordo con molti centri turistici alpini, chiede nella nota di adottare un adeguato provvedimento al fine di ricomprendere le stazioni degli impianti di risalita all’interno della categoria catastale E/1 e non nella categoria D/8 riconoscendo, sotto il profilo giuridico, a queste strutture, anche ai fini fiscali, la funzione pubblica di trasporto, come lo sono oggi. La sentenza 4541 del 5 marzo 2015 della Corte di Cassazione ha invece declassato gli impianti a fune da servizio di trasporto pubblico ad attività commerciali funzionali alle piste da sci.Gravissime le ricadute per i centri turistici e per le imprese che gestiscono gli impianti. In particolareUncem evidenzia l’aggravamento dei conti delle società degli impianti, il rischio di tracollo di un’alta percentuale delle aziende delle località minori, le ripercussioni della sentenza e dell’Imu sugli impianti a fune sull’economia montana che ruota attorno al turismo generato dalle imprese degli impianti a fune, i rischi per l’occupazione nelle aziende funiviarie e le ripercussioni su tutte le altre attività. “Va ricordato – precisa Lido Riba – che la realizzazione degli impianti di molti Comuni è stata possibile con il contributo pubblico proprio perché l’Unione europea li ha qualificati quali impianti di trasporto”. Oggi si tratta di accatastare in E/1 le stazioni di partenza e di arrivo degli impianti, i depositi delle cabine e delle seggiole degli impianti stessi; non sono da comprendere gli uffici, né i bar né ogni altra struttura strettamente collegata alle stazioni di partenza e di arrivo.
“In tutta Europa – afferma Enrico Borghi, presidente nazionale Uncem e presidente dell’Intergruppo parlamentare per lo Sviluppo della montagna – gli impianti di risalita sono stati assimilati al trasporto pubblico locale, in quanto in grado di assicurare, oltre all’esercizio di una attività commerciale peraltro fortemente complicata dal cambiamento climatico e dalla progressiva assenza di precipitazioni che impongono la realizzazione di onerosi impianti di innevamento artificiale, il collegamento tra i fondovalle, i versanti e le sommità delle montagne. La presenza di impianti di risalita, oltre ad avere sviluppato nel nostro paese una significativa industria del settore, ha anche consentito a numerose località di mantenere il presidio dei territori di quota senza dover ricorrere alla realizzazione di costose e spesso impattanti infrastrutture stradali”.
“Qualora passasse la logica di questa sentenza – evidenzia Borghi, che nei prossimi giorni incontrerà alla Camera dei Deputati i rappresentanti delle associazioni di categoria – si metterebbero in ginocchio centinaia di imprese del comparto della neve, contribuendo inoltre ad aprire la strada all’abbandono di numerosi territori in quota. Impropriamente viene scritto nella sentenza che l’impianto di risalita svolgerebbe una funzione esclusivamente commerciale di integrazione delle piste da sci e non sarebbe ipotizzabile, nemmeno parzialmente, un suo utilizzo come mezzo di trasporto pubblico. Così non è per moltissime Regioni che considerano invece gli impianti a fune assimilati al trasporto pubblico. Così non è per tutto il resto d’Europa”.