STORIE DI VALSUSA / GIULIANO BOSIO, L’AGRICOLTORE VISIONARIO CHE COLTIVA OLIVETI IN MONTAGNA

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di MARIO RAIMONDO

Sicuramente, al di là della battuta, la Valmessa non sarà la Valle dell’Eden, ma almeno in parte è o potrebbe anche essere una valle degli ulivi. Traspare questa convinzione parlando con Giuliano Bosio, su sulla prima collina, vicino a Borgata Morando. Qui infatti, agli inizi del 2000, Bosio ha impiantato un uliveto oggi pienamente produttivo. Certo che quasi 30 kg di mosto d’olio non sono quantità iperboliche e per ora resta un prodotto di nicchia, ma che comunque (nell’anno disastroso per l’agricoltura flagellata da un maltempo senza precedenti e dove sono stati molto penalizzati i prodotti della “dieta mediterranea”) è di qualità sopraffina e lascia ben sperare in un ancora migliore futuro tanto come qualità che come quantità.

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“L’agricoltore – dice Bosio – deve essere anche un po’ visionario e saper quindi essere pioniere. Con questo spirito impiantai l’uliveto. Quando ero ragazzino nel podere della parrocchia, adiacente alla stessa, esistevano due grossi e floridi ulivi e, se presenti a quei tempi in Almese, perché non avrebbero potuto esserci anche oggi?”.

La presenza di un microclima favorevole unita alla straordinaria capacità di adattamento della pianta sono state “conditio sine qua non” per il piccolo successo del coltivo di Bosio che, mettendoci l’esperienza maturata negli anni appena trascorsi, fatta di studi, lavoro e sperimentazioni sul campo, ben potrebbe definirsi, “tout court”, olivocoltore. Il nettare verde – oro racchiuso nelle bottiglie è più eloquente delle parole… L’uliveto stesso neanche necessita di parole tant’è bello nei suoi filari ordinati sul terreno inerbito.

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Un’idea, un prodotto possibile per il futuro agricolo della zona? Continua Bosio: “Non so se saranno l’ulivo o la vite o qualcos’altro il futuro della nostra agricoltura, ma certo è che dovrà comunque diversificarsi. Non parlo da nostalgico ma da semplice abitante del luogo che si guarda attorno. Sempre di più castagneti da frutto, vigne, seminativi e prati si trasformano in agglomerati di robinie, sambuchi e rovi.

L’incuria quando non l’abbandono della terra si trasforma così in gerbido, a volte, ceduato. Una bella cartolina da spendere solo per gli uccellini ed i fiorellini? Pensiamo alla mancata produzione ed ai costi per il ripristino del degrado e dissesto del territorio che ne consegue, soprattutto ora che i fenomeni climatici paiono estremizzarsi. È proprio necessario ripensare la produzione agricola del territorio, soprattutto della collina.

È giunto il tempo degli agronomi che scendono in campo, piuttosto di quello dei soloni dei convegni che ti propongono soluzioni patinate, lette da qualche parte o, peggio ancora, applicate in altri contesti che poco hanno in comune con il nostro. Agire ora. Certamente gli enti pubblici potrebbero fare molto in questa piccola “rivoluzione” a cominciare dalle cose più semplici come il conoscere, lo studiare ed approfondire la nostra realtà. Bisognerebbe sempre di più e, si è già cominciato, creare occasioni per valorizzare e riappropriarsi del gusto del prodotto locale. Così, se non altro, avremo un’alternativa al “palato globalizzato da supermercato”, e tanto altro ancora.

Abbiamo ricevuto in dote il grande valore aggiunto della biodiversità. Non sprechiamola!

Un appello questo di Giuliano Bosio che è come un manifesto da sottoscrivere.

L’agricoltura, con tutte le filiere che ne derivano, può davvero essere uno dei nostri prossimi “start up” ed in tempo di crisi davvero non è poco.

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