di IVO BLANDINO
BUSSOLENO – Mercoledì 27 gennaio, in tutta Italia, si celebrerà il Giorno della Memoria. Il 27 gennaio del 1945, infatti, le truppe sovietiche aprirono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz in Polonia, liberando i superstiti della ferocia nazista.
Era il 20 gennaio 1942 quando sulle rive del lago di Wannsee, vicino a Berlino, gli alti ufficiali e burocrati nazionalsocialisti vennero messi al corrente della “Soluzione finale” ideata da Adolf Hitler in merito alla questione ebraica, cioè all’annientamento del popolo ebraico in Europa.
In occasione di questa ricorrenza lo storico Daniele Trematore, originario di Torino ma molto impegnato nell’attività culturale del paese di Mattie, sarà presente mercoledì prossimo a Bussoleno, prima al mattino con gli studenti delle terze medie e poi alle ore 15.30 presso la sede dell’Università della terza età, in via Traforo, per tenere una conferenza su “27 gennaio: la memoria della Shoah in Italia”.
Trematore ha 28 anni, si è laureato in Filosofia con una tesi sul problema dell’interpretazione in Umberto Eco e poi si è specializzato in Scienze Storiche con un lavoro sul giurista ebreo torinese Guido Fubini, “menzione di merito” da parte dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane. Lo abbiamo intervistato.
Che significato ha celebrare questa giornata?
Questa è una giornata che interroga prima di tutto le nostre coscienze di italiani ed europei. Negli ultimi anni purtroppo un eccesso di ritualità e l’insistenza sul dovere della memoria, non accompagnata da un’adeguata conoscenza storica ha finito, in parte, per svuotare l’essenza di questo fondamentale momento del nostro calendario civile.
Lei pensa che gli studenti oggi coltivino la memoria di quelle che sono state le leggi razziali del 1938?
Il Giorno della Memoria è una ricorrenza così presente anche grazie al lavoro che ogni anno si fa nelle scuole che voglio credere che i più giovani sappiano cosa sia successo nell’Italia del 1938. Sono tuttavia meno ottimista su come quella storia è stata tramandata. Troppo spesso, attribuendo tutte le colpe dello sterminio alla Germania, ci siamo dimenticati quanto la persecuzione ci riguardi da vicino. Per questo, quando mi capita di affrontare pubblicamente questi argomenti, ritengo doveroso soffermarmi sulle nostre responsabilità, per contrastare una narrazione assolutoria, già smentita dalla ricerca storiografica ma purtroppo ancora presente nella percezione comune, che vede nell’introduzione della legislazione antiebraica una imposizione di Hitler ad un’Italia estranea all’antisemitismo e salvatrice di ebrei. E perciò, per citare una nota ma ormai ampiamente superata considerazione di Renzo De Felice, “fuori dal cono d’ombra dell’Olocausto”.
Qual è il messaggio che vuole trasmettere ai suoi uditori?
Di non smettere mai di leggere e informarsi. Soltanto la consapevolezza storica è in grado di guidare le nostre azioni di oggi e di domani, come individui e come comunità. Non farsi imbambolare da chi vuole farci soffiare sul fuoco della xenofobia e reagire all’indifferenza sono i due messaggi che vorrei arrivassero soprattutto ai più giovani”
Com’è nato il suo interesse per l’antisemitismo?
Il mondo ebraico mi ha sempre affascinato. Mi ha sempre ossessionato il fatto che questo popolo sia stato perseguitato per secoli e sulla base di pregiudizi infondati in un modo che non ha pari nella storia. Volendo rintracciare a tutti i costi un punto di inizio, credo che questa mia “ossessione” possa essere ricondotta alla lettura del “Cimitero di Praga” di Umberto Eco, romanzo che mi colpì profondamente e che mostra, dal punto di vista di un antisemita, come si costruiscono i complotti.
Che cosa rappresenta per lei la figura di Guido Fubini?
Difficile dirlo in poche parole. Guido Fubini rappresenta per me l’onestà della ricerca, la passione civile nel combattere le battaglie del proprio tempo, l’impegno nel portare avanti le proprie idee anche da soli. Abbiamo tutti bisogno oggi di Fubini che abbiano il coraggio di scrivere “Abbasso Hitler”, come lui fece a tredici anni nel 1938 sulla porta del gabinetto del liceo d’Azeglio di Torino.