Nei giorni scorsi ha avuto una certa risonanza mediatica la presenza di un (presunto) stambecco bianco sulle montagne della Val Susa, nella zona del Monte Palon, a quasi 3000 metri di quota a cavallo della cresta est del Monte Rocciamelone. Poiché è all’interno dell’omonimo SIC – ZSC affidato all’Ente di gestione delle Aree Protette delle Alpi Cozie, approfittiamo dell’occasione per aggiungere alcune considerazioni di tipo naturalistico perchè quelle di tipo mitologico e romantico sono già state ottimamente trattate da Carlo Grande su La Stampa.
A seguito dei sopralluoghi effettuati dal Comparto Alpino CATo3 e dalla Città metropolitana di Torino insieme al professor Luca Rossi dell’Università di Grugliasco (si vedano i rispettivi comunicati stampa ossia Città Metropolitana di Torino e Comparto Alpino CATo3), la presenza di un esemplare leucistico, cioè con il mantello bianco anziché con la tipica colorazione marrone, è stata nuovamente confermata. “Nuovamente” perché la sua presenza nel periodo invernale alle pendici del Rocciamelone è nota ai guardiaparco delle Aree protette delle Alpi Cozie da due o tre stagioni, tanto che la segnalazione precisa è da tempo correttamente inserita nella banca dati regionale e sulla piattaforma iNaturalist (progetto Aree protette Alpi Cozie).
Si tratta di un episodio raro, ma non infrequente. Talvolta esemplari albini, quindi con gli occhi rossi accompagnati da alcune patologie, oppure solo bianchi, come nel nostro caso, compaiono qua e là nelle popolazioni selvatiche di ungulati. Di solito la selezione naturale limita la loro vita e le loro possibilità riproduttive, sia perché più deboli e fragili dei loro simili, sia perché dotati di minore sex-appeal (in etologia si chiama proprio così) e quindi scartati nelle scelte per gli accoppiamenti.
In questo caso, conoscendo il territorio e le sue frequentazioni, non può escludersi che si tratti di un animale ibrido, un incrocio fra gli stambecchi e qualcuna delle capre domestiche che da qualche anno si sono rinselvatichite e vivono libere, talvolta accompagnandosi proprio con gli stambecchi. Il nome latino dello stambecco, Capra ibex, ci ricorda che si tratta di specie sorelle che possono facilmente fecondarsi. Capre della razza Saanen, ad esempio, sono biancastre, spesso prive di corna e di dimensioni analoghe a quelle fotografate (e, per amor di scherzo, il loro nome ricorda l’espressione piemontese “A ssa nén” che si attaglia bene alla situazione visto che significa “non si sa”). E proprio sotto la vetta del Palon resiste il toponimo “Passo della Capra” frequente in montagna ma sempre di difficile discriminazione tra domestico o selvatico. Capre ferali imbrancate con stambecchi sono presenti in molte realtà alpine, anche nelle limitrofe Valli di Lanzo.
Durante il progetto Lemed Ibex del quale il Parco Alpi Cozie è stato partner attivo, sono state effettuate ripetute campagne di monitoraggio, catture selettive, prelievi di campioni biologici, analisi genetiche e posizionamento di radiocollari su tutte le Alpi occidentali, dal Lago Lemano alle Marittime, compresa l’area del Rocciamelone. Il progetto è concluso e i suoi risultati definitivi saranno pubblicati a breve, ma secondo le analisi genetiche effettuate dall’Università di Zurigo non sembra essere presente una introgressione di geni di capra domestica particolarmente elevata; al momento questo significa solo che non era presente nei campioni raccolti e sarà necessario proseguire le ricerche, ma durante le attività di campo estive l’esemplare bianco non è mai stato osservato. Insieme alle altre segnalazioni, questo conferma che probabilmente arriva solo nel periodo invernale, forse seguendo il naturale impulso all’aggregazione dei maschi intorno a dicembre, la stagione degli amori degli stambecchi. È difficile però immaginare che possa avere un buon successo riproduttivo, perché fra gli stambecchi la dominanza che prelude all’accoppiamento con le femmine viene ogni anno stabilità a suon di cornate. Un maschio senza corna, bianco o nero che sia, è evidentemente escluso in partenza da questa competizione.
Va ancora ricordato che lo stambecco alla fine dell’800 è stato sulla soglia dell’estinzione. Ne erano rimasti solo un centinaio di esemplari tutti concentrati nell’area del Gran Paradiso. La protezione accordata prima dalla riserva di caccia del re e poi dall’istituzione del primo parco nazionale italiano ne ha permesso dapprima il recupero e poi, a partire dagli anni ‘90 del Novecento, la reintroduzione di piccoli nuclei in varie aree vocate delle Alpi. Nelle Cozie, prima nei Parchi Val Troncea e Orsiera-Rocciavrè, poi alle pendici del Rocciamelone, a Rochemolles (Bardonecchia), intorno al Rifugio Mariannina Levi (Exilles). Da questi pionieri, che conservano comunque un patrimonio genetico piuttosto ridotto, si sono originate le popolazioni che oggi in buon numero coprono le Alpi occidentali.
Rimane la meraviglia e il fascino per un animale diverso dagli altri, dal mantello candido, al quale si sono ispirate leggende, mitologie, documentari e film come “Tutta colpa del Paradiso” di Francesco Nuti del 1985.
Complimenti e un grazie all’ estensore dell’articolo.
Chiaro , preciso e esauriente.