di MARIO CAVARGNA
CHIOMONTE – I mulini di Clarea non sono solo le Termopili della nostra lotta, sono anche un sito storico di grande interesse culturale. Abbiamo già detto che erano sul confine tra Francia (Delfinato) ed Italia (stati sabaudi): un confine esemplare, largamente permeabile alle popolazioni locali che potevano avere diritti e possessi dall’una e dall’altra parte, ed in cui c’erano le fortificazioni di Clarea: una parte della linea difensiva eretta dei Savoia, i cui resti sono sopravvissuti agli eserciti che dovevano invadere l’Italia, ma non all’autostrada del Frejus, che ha raso al suolo la torre che faceva da caposaldo.
Resta però una storia misconosciuta di grande interesse. Si tratta del mulino già documentato nel Milletrecento che nella forma attuale risale ad un periodo posteriore al milleseicento in cui si afferma la ruota motrice idraulica orizzontale, che poi sarà il cardine della “rivoluzione tecnica preindustriale” del Piemonte.
Nell’edificio superstite in Clarea, oggi è ben visibile il “baratrone”: il locale con volta a botte in cui erano ospitate le due “eliche” che ricevevano la spinta motrice dall’acqua, che nei secoli, hanno solo perso qualche paletta, che giace nel fango.
Il locale soprastante, fatto salvo un abbandono secolare che ha fatto staccare alcuni pezzi e lo ha riempito di foglie e di ragnatele, si presenta intatto. Sono conservati in sito le due macine di pietra (due, proprio come erano documentate nel 1750) con la parte pesante fissa di sotto e la parte rotante sottile di sopra, messa in moto dalle ruote idrauliche sottostanti. Sono conservati, sia pure con qualche distacco, la cassa rotonda che chiudeva le macine e raccoglieva la farina, le tramogge di legno, le arche di legno in cui veniva conservata la farina prodotta ed i telaietti che tenevano distesa la tela che setacciava il prodotto. Il contesto dell’edificio è spettacolare, con un inserimento rurale che riproduce in modo estremamente suggestivo la situazione di due-trecento anni fa.
Poco più a valle il canale, ora non più esistente, alimentava un frantoio per olio di noce, di cui la Val di Susa era la prima produttrice in Piemonte e di cui oggi questa è la sola testimonianza: restano la vasca in pietra e la pesante e larga ruota che vi girava dentro e produceva la poltiglia che poi, riscaldata, produceva l’olio, indispensabile per la cucina ma anche per l’illuminazione.
Nella sostanza, rinforzando l’edificio rinzaffando un poco tra pietra e pietra i pezzi di muro che han perso la malta di legamento, togliendo con cautela l’edera che appesantisce il tetto, si potrebbe fare un magnifico ecomuseo di un’area pre industriale medioevale.
Qualcosa di molto più concreto delle cosidette compensazioni vantate dal comune di Chiomonte che ha svenduto il suo territorio in cambio di progetti che per lo più non portano da nessuna parte e che pertanto lasceranno nulla.
I No Tav qui potrebbero offrire un duraturo valore culturale di eccellenza tenendo conto di un altro fatto davvero unico in Italia e forse anche in Europa. Un fascicolo di processo del 1757/58 intentato da una certa Maria Belletto (non tanto curiosamente il nome della pesona che, 260 anni dopo, è stata espropriata da Telt) figlia del mugnaio di Clarea di allora, che si difende dalla invadenza dello zio che vuol prenderle l’eredità del padre, ci informa dei beni immobili e dell’inventario di ciò che era contenuto in quella casa. Veniamo così a sapere che il mugnaio di Clarea aveva in stock, tra gli altri prodotti dei terreni confinanti con il mulino, 150 kili di patate.
Da quando le patate arrivano in Europa, alla metà del 1500, sino alla fine del 1700 le citazioni che abbiamo sono circa sette, ma sono citazioni generiche, di presenze in un menù: qui in Clarea è la prima volta che si dice il luogo in cui sono state coltivate. Di qui il mio grande suggerimento, di reagire alla devastazione del cantiere ripristinando il mulino medioevale per renderlo visitabile e ripristinando un campo di 10 x 10 metri di patate antiche (le piatli-ne) con cui opporci alle devastazioni del cantiere, oltre che con la nostra presenza fisica, anche con la nostra presenza culturale, riproponendo, a beneficio del movimento No Tav, le patate antiche nel luogo di coltivazione originario e con l’ingrediente originario: l’olio di noci, naturalmente.
Chissà perché un articolo così ben scritto e interessante è stato farcito di riferimenti notav! Oltretutto dicendo che questi ultimi “potrebbero offrire un duraturo valore culturale di eccellenza” …ma si rende conto di che affermazione ha fatto? Lei sicuramente potrebbe, essendo persona di nota cultura, ma il resto del gregge….
Il Dr Cavargna è un anima del movimento no TAV…..e quindi tira acqua…….al suo mulino.
Articolo molto interessante e di un certo fascino. Ma chi farà o sta facendo un opera da 25 miliardi di euro, ( per il momento ), delle macine e del mulino non gliene frega una emerita mazza.
Sono sempre più convinto che Garibaldi e Cavour potevano evitare di fare l’unità di Italia .
Gent.mo carluciu, quale unità d’Italia?
Quella dolente di Dante Alighieri non valeva il sogno e il sacrificio di riscattarla?
“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!“
Andando oltre i due citati, spesso a sproposito, e arcinoti “influencer” molti tra quanti l’hanno voluta hanno pagato un caro prezzo senza poterla vedere.
Due nomi di cui anche lei dovrebbe essere fiero:
Amatore Sciesa
Paolo Narducci
ed uno artistico letterario:
Mario Cavaradossi
Rivoluzionari nel cuore e nel gesto, inseguendo un mondo migliore, ieri come oggi.
Un ringraziamento a Mario per l’ottimo saggio.
I mulini della Val Clarea sono diventati di colpo una meraviglia “archeologica” solo dopo che i no tav hanno intuito che possono essere utili per intralciare la realizzazione del tunnel e quindi sono finiti rapidamente nella vulgata dei no tav stessi…
Come la biscia d’acqua della collina di Reano e la farfalla del Musinè.