VALSUSA, LA STORIA DEL “SIGNOR FOTTUTO”: IL RISTORATORE RIBELLE SASÀ GIGANTE

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di FRANCO TRIVERO

DEVEYS – Domenica 4 febbraio Sasà Gigante ha presentato il suo nuovo libro “Signor Fottuto e altre storie”, che racconta il suo viaggio di protesta in tutta Italia, partendo dalla Valsusa e con la bicicletta. Rappresenta la testimonianza di un uomo comune che non si abbandona alla rassegnazione e alla disperazione, ma decide di intraprendere un viaggio per portare la propria testimonianza, di disobbedienza civile, in giro per l’Italia. La crisi che stiamo attraversando ha la sua causa principale nella perdita di legame sociale. In una società frantumata l’idea di un bene comune viene soffocata sul nascere dagli egoismi e dagli individualismi. Ci hanno spaventati, hanno diviso le coppie, le famiglie, le amicizie. La paura di essere soli, di essere abbandonati, ma anche la paura di non essere all’altezza dei propri sogni e allora si smette di sognare, ma smettere di sognare è un po’ come smettere di vivere. Silvano Agosti scrive: “Lo schiavo non è tanto quello che ha le catene al piede, quanto quello che non è più capace di immaginare la libertà”. Poi c’è la grande paura economica. Paura di un sistema che non protegge più le persone, che distrugge il lavoro o lo degrada a prestazione occasionali indegnamente retribuita, che alimenta le diseguaglianze e smantella lo Stato sociale, il sistema di servizi e di garanzie che ha consentito la prosperità delle democrazie. Non è lavoro quello che riduce la persona a funzione, a mezzo di profitto. Non è lavoro quello che non tiene conto dei suoi bisogni e delle sue speranze. Non è lavoro quello che assicura parte dei profitti alle multinazionali, che non investe socialmente, che non ha una visione di bene comune. L’Italia è uno dei Paesi dove le disuguaglianze hanno toccato i livelli più alti. Ma non chiamiamole più disuguaglianze, chiamiamole ingiustizie. L’ingiustizia è un concetto che richiama il sopruso del forte verso il debole. Alla base di una disuguaglianza c’è sempre un’ingiustizia.
L’esclusione dei giovani dal mondo del lavoro è il grande scandalo di questo tempo. Un segno di egoismo ma anche di ottusità, perché un Paese che non punta sui giovani è un Paese che sbarra la strada al proprio futuro. Se oggi le ingiustizie sono così prevalenti, è perché le ingiustizie si sono alleate con le nostre omissioni. Il male non è solo di chi lo commette, ma anche di chi guarda e lascia fare. Ecco, nel periodo pandemico, buio e distopico ho conosciuto Sasà, un uomo semplice, un uomo libero, che non ha avuto paura di fare scelte controcorrente, non ha avuto paura di mettersi in gioco completamente.
Un uomo che la libertà non solo ha saputo immaginarla, ma è anche andato a riprendersela attraverso l’Italia in sella ad una bicicletta e l’ha voluto fare per tutti noi. L’amnesia collettiva è una delle patologie di cui più soffrono gli italiani. Noi italiani siamo incredibilmente smemorati, viceversa la memoria è una delle migliori armi democratiche che abbiamo; ho sempre considerato la memoria l’arma più importante per la nostra indipendenza. Se il viaggio di Sasà è stato un esempio eroico di disobbedienza civile questo diario/racconto deve esserne la memoria e deve diventare strumento su cui costruire un futuro di speranza per i nostri giovani. Sasà ha intrapreso il suo viaggio con la consapevolezza che siamo noi a costruirci la nostra gabbia, noi ci lasciamo mettere il paraocchi che non ci permette di vedere cos’è la vita e cosa ci può offrire. È partito lasciando i suoi affetti più cari, mettendosi in gioco, rischiando anche la vita per dimostrare che abbiamo diritto alla felicità, alla libertà delle nostre scelte, perché non siamo una mandria di schiavi, non siamo cavie, né bestiame da macello chiusi in una gabbia costruita con le nostre stesse illusioni. Non dobbiamo accontentarci della razione minima che ci viene concessa per farci sopravvivere, mentre concediamo ad altri di nutrirsi dei nostri sacrifici arricchendosi e diventando sempre più potenti. Sasà è partito come un “fottuto dallo Stato”, l’ha portato scritto sulla schiena per tutto il viaggio, come un pesante fardello, ma sul petto, vicino al cuore c’era scritto “mi riprendo la mia libertà”. Nelle pagine di questo diario/racconto scopriamo le fragilità e il coraggio di un uomo che ha parlato al cuore della gente in tutta Italia per far capire che ciascuno di noi può riprendere in mano la propria vita, riscoprendo la dignità, la libertà e l’umanità più autentica.

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10 COMMENTI

    • Bah! La signora mi sa che ha preso un pò sottogamba la cosa pensando di essere in Italia dove le regole esistono solo per chi le rispetta……. e adesso chiede aiuto!

  1. La pandemia è finita da parecchio e il mondo è tornato a fare quello che faceva prima. La sua attività è andata in malora prima della pandemia, e non certo per colpa dello stato o di altri. Ancora non abbiamo capito come lo stato lo avrebbe fottuto, come possa aver fatto 9200km facendo l’Italia su e giù una sola volta e in cosa consista esattamente la sua disobbedienza civile.

  2. A giudicare dalla folla oceanica presente, non credo gli sia venuto il crampo nel firmare le copie. Adesso però sarebbe ora di lavorare un poco; oppure darsi alla politica e continuare così.

  3. Sasà non ha saputo aspettare quelli che ci governano da altro un anno. Avrebbero risolto tutti i suoi problemi come stanno egregiamente risolvendo i nostri. Infatti quando erano all’opposizione avevano tutte le soluzioni in tasca.

  4. Non c’era bisogno di inventarsi scuse fantasiose per andare in pensione, abbandonare la famiglia, e andare in giro per l’Italia in bici.

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