BORGONE SUSA – Il 15 dicembre Pierina Tamasco ha compiuto 102 anni, confermandosi come una delle decane della Valsusa. Un compleanno festeggiato insieme al figlio Claudio Giorno e la sua famiglia. Proprio il figlio racconta la storia di nonna Pierina, che pubblichiamo qui sotto.
“Pierina Tamasco è la decana di Borgone Susa. Non vi è nata perché vi è arrivata nel 1947 da Agropoli (Salerno), località turistica nota anche come la “capitale” del Cilento, patria della “dieta mediterranea” (il che potrebbe anche rappresentare parte del “segreto” della sua longevità). Anche se l’essere nata in coincidenza della fine della Grande Guerra costrinse la sua famiglia numerosa (era l’ultima di sette figli) a far fronte alle difficoltà che finirono per determinare lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale; conflitto che oltre a causare il “richiamo sotto le armi” (per dieci lunghi anni) di quello che doveva diventare suo marito, Gustavo Giorno, la coglie in Abruzzo, (dove era andata ad aiutare la sorella Elena che aveva da poco partorito la prima figlia). E qui visse una esperienza drammatica quando i nazisti in ritirata dopo lo sbarco degli alleati nel sud Italia rasero al suolo per rappresaglia proprio il paese in cui era ospitata ossia San Pietro Avellano.
Aveva quindi già visto la neve quando nel 1947 (con biglietto di sola andata per un “treno del sole” venne catapultata a Borgone Susa). Perché se il clima rigido lo aveva già assaggiato (e in una situazione ben più drammatica), nel profondo nord ovest della penisola dovette fare i conti con un altro genere di freddezza: quella umana. Unico nucleo familiare con entrambi i componenti provenienti dal sud Italia (un fratello di suo marito vi era arrivato molti anni prima trovandovi anche la moglie) venne accolta dai famigerati cartelli “non si affitta ai meridionali” così che dopo i primi mesi (invernali) passati in un alloggio di fortuna, la giovane coppia fu costretta ad accontentarsi di una casa senz’acqua, col gabinetto a piano terra sotto la scala esterna che serviva anche per entrare in casa e portarvi il secchio dell’acqua potabile (la falda non era poi così distante dal pozzo nero).
Del resto si era nell’immediato dopoguerra, e anche la maggior parte degli “autoctoni” viveva in condizioni analoghe. Il Cotonificio Valle Susa erogava un salario al limite della sussistenza e poco più di un decennio dopo sarebbe iniziata la lenta ma inesorabile agonia del tessile (favorita anche dal mai rimpianto Felice, rampollo d’oro della famiglia Riva che era subentrata al fondatore svizzero Augusto Abegg (cui sono intitolate molte strade dei nostri comuni).
Solo i più fortunati trovarono posto in Fiat o nell’indotto; la cassa integrazione non era ancora stata inventata e si vissero mesi difficili. Per cui ancora oggi avercela fatta è motivo di vanto per nonna Piera: aver saldato i debiti (che si rivelarono necessari anche per pagare l’oneroso atto notarile – indispensabile per l’assegnazione di un alloggio finalmente decoroso sia pure di casa popolare), aver fatto studiare il figlio, potersi finalmente dedicare al nipotino sono i suoi “gioielli” che non hanno bisogno di cassette di sicurezza per stare al sicuro. Niente che non sia proprio di molte altre anziane signore che la seguono o precedono di qualche anno, e che ancora oggi surrogano la carenza di welfare di cui questo paese rimane afflitto, una funzione preziosa ma in via di estinzione perché non si riesce a immaginare come potrà essere tramandato alle attuali generazioni.
L’ INPS disapprova questo articolo. 🙂
Ma Zio Fester? Che fine ha fatto?
Tanti auguri alla nonnina!
scusate per gli errori
Gwen, però nel frattempo hai fatto un altro errore, perché hai sbagliato articolo in cui scusarti…
Nel commento precedente avevo detto che la signora ha raggiunto una splendida età come alcuni altre e altri nelle RSA delle valli, passati inosservati a causa dell’epidemia covid che purtroppo ha fatto strage tra le persone anziane. Anche questi anziani delle varie strutture meritano un bell’articolo, per aver resistito anche fino a 100 e oltre anni nonostante il virus e la solitudine o per aver purtroppo, perso la vita lontano da tutti.