TORINO / BUSSOLENO – Martedì 17 novembre la procura di Torino ha chiesto 88 anni di carcere (complessivi) per 28 militanti No Tav e del centro sociale Askatasuna. Di questi, 16 attivisti sono imputati di associazione a delinquere, e alcuni sono della Valsusa. La requisitoria del pubblico ministero Manuela Pedrotta è durata circa 9 ore, fino alle ore 18.
Tra i 16 imputati per associazione a delinquere ci sono vari No Tav valsusini. Tra i nomi di rilievo Giorgio Rossetto (chiesti 7 anni di carcere), Andrea Bonadonna (4 anni), Dana Lauriola (3 anni) e Alice Scavone (5 anni). Oltre a loro, la pm ha chiesto condanne anche per altri attivisti del centro sociale torinese: Guido Marco Borio (3 anni), Mattia Marzuoli (5 anni), Umberto Raviola (7 anni), Stella Gentile (4 anni), Maya Bosser Peverelli (4 anni), Francesca Lucchetto (2 anni e 6 mesi), Loris Collovati (2 anni e 4 mesi), Costanza Piana (4 anni), Francesco Bruni (2 anni), Alessandro Fiumara (2 anni), Donato Laviola (4 anni e 6 mesi) e Vincenzo Pellicanò (2 anni).
Secondo la pubblica accusa, gli imputati sarebbero responsabili di vari episodi di violenza (l’inchiesta riguarda i fatti avvenuti fino al 2022) durante alcune manifestazioni al cantiere Tav in Valsusa, a Torino e all’Università. Numerosi gli episodi di scontro con le forze dell’ordine. La pm li ha definiti un gruppo di “professionisti della violenza”.
Da gennaio 2025 ci saranno le nuove udienze del processo, con gli interventi degli avvocati difensori. La sentenza potrebbe arrivare già in primavera. Ma oltre all’aspetto penale, c’è anche quello economico. Si sono costituiti parte civile al processo la presidenza del consiglio dei ministri, il ministero dell’Interno e della Difesa e la società Telt, società che deve realizzare la linea Tav Torino-Lione.
“88 anni richiesti perchè lottare è reato” replicano dal Movimento No Tav. Che sulla vicenda hanno pubblicato un’ampia riflessione sul sito Associazione a resistere, che qui riportiamo in alcune parti, e che potete leggere integralmente cliccando sul sito. “Secondo il ragionamento che sottende la ricostruzione dell’accusa, la lotta sociale della città e della Valle sarebbe riconducibile a una totale strumentalizzazione da parte di un gruppo di persone che utilizzano i contesti sociali per i propri obiettivi criminali – scrivono i No Tav – (…) Ciò che conta è che se questo processo si concluderà con una legittimazione di tale disegno potremo decretare una cesura nella storia dei movimenti: la profondità storica, il radicamento sociale, l’eterogeneità della partecipazione, la continuità e la tenacia, la necessità di organizzarsi per contrastare l’attacco che viviamo quotidianamente nelle nostre vite, sarebbero delegittimati in quanto prova di un disegno criminale considerato alla stregua di un’organizzazione mafiosa”.
E ancora: “Il trito e ritrito ritornello dei “professionisti della violenza”, la presunta presenza di “basi operative” come luoghi utili alle condotte criminali, la riesumata “strategia della tensione” sono tutte le questioni che vengono utilizzate per parlare del “programma criminoso” che andrebbe avanti dagli anni 2000, con buona pace di una conoscenza minima della storia dei movimenti sociali di questo Paese”.
“Il portato delle argomentazioni dell’accusa è il sintomo plastico di come oggi é invece intesa la questione democratica: il sistema di sfruttamento e di dominio deve essere legittimato a ogni costo. Pensare che esista una componente sociale pronta a mettersi in gioco per cambiare lo stato di cose esistenti e che abbia l’ambizione essere di massa diventa prova di organizzazione criminale. Pensare che una lotta trentennale come quella contro il tav sia un esempio per altre lotte diventa prova di reato associativo”.
VALSUSA, PROCESSO A 28 MILITANTI NO TAV E DI ASKATASUNA: CHIESTI 88 ANNI DI CARCERE
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