di NORMA RAIMONDO
SANT’AMBROGIO – Lunedì 5 marzo, presso gli uffici regionali di Torino, il sindaco Dario Fracchia ha gettato le basi per il concorso di idee che vedrà protagonista la vecchia Manifattura Bosio, più nota come Maglificio, sita a pochi metri dal palazzo municipale. Uno stabilimento a forma di quadrilatero, fondato nel 1871, edificato su un’area di 10 mila metri quadri. “Ho incontrato i funzionari regionali – anticipa il primo cittadino – nonché Eleonora Gerbotto dell’Oat, direttrice della fondazione per l’architettura di Torino, per valutare la fattibilità di un concorso di idee che avrà per oggetto il sito santambrogese. Non gli abbiamo ancora dato un nome, ma vorremmo che coinvolgesse importanti studi di architettura nella progettazione di un grande contenitore”.
Un contenitore che, in aggiunta ad attività produttive private, potrebbe avere al suo interno una parte pubblica, visto che la proprietà immobiliare è privata ma è prevista una quota di dismissione a favore del Comune.
“Negli anni – prosegue Fracchia – in quell’insediamento hanno trovato posto varie attività. Ad agosto si trasferiranno altrove anche le Spinotterie Piemontesi, fino ad oggi ospitate al suo interno, che resteranno comunque sul territorio santambrogese ma necessitano di nuovi spazi, mentre da tempo se ne è andata la fabbrica Imperia, che produceva macchine per la pasta. In epoca più recente è arrivato il birrificio San Michele, attività artigianale che ha rivalorizzato l’area, ma è necessario un intervento di riqualificazione della struttura. Penso a diversificazioni quali piccolo commercio, start up, servizi alle persone, soluzioni incentivanti che attirino l’attenzione di qualche investitore sull’area in questione. Vogliamo accendere i riflettori coinvolgendo differenti idee progettuali e la nostra intenzione è quella di bandire entro maggio o giugno il concorso, che dovrà essere concluso entro l’anno”.
Pur essendo di proprietà privata, in quanto appartenente ai fratelli Corradi, il Maglificio venne lasciato fuori dalla variante strutturale del 2013 per il recupero delle aree degradate e fatto oggetto di un piano particolareggiato creato ad hoc, proprio poiché già allora si pensava di fare un discorso fine a se stesso di quell’insediamento.
“Ovviamente, essendo a ridosso del centro abitato, la soluzione dovrà essere idonea a rendere vivo il paese senza creare problematiche di alcun tipo. Faccio un esempio: nell’ex manifattura si potrebbero potenziare l’attività culturale, il piccolo artigianato ed i servizi alle persone. Non pensiamo certo di lasciare spazio ad un deposito di liquidi infiammabili, ci piacerebbe che venissero proposte differenti idee per restituire a quell’area l’importanza che ha avuto in passato”. Un’importanza che è narrata nei libri di storia locale ma è evidente anche per chi sale lungo la mulattiera che conduce alla Sacra: nel primo tratto, osservando il panorama, l’ex Manifattura Bosio è infatti facilmente individuabile quale segno distintivo del paese.
Non dimentichiamo che è anche stata sede della I. T. O. M.
Avendo fiducia zero nell’utilità dei concorsi di idee per architetti fantasiosi e comuni squattrinati, lancio l’invito agli enti preposti, Regione in particolare, a guardare con attenzione a chi si già messo in moto.
La Regione Veneto
ha approvato pochi mesi fa una legge innovativa (la 14/2017) che all’articolo 8 prevede l’utilizzo temporaneo del capannone per uso diverso rispetto alla destinazione primaria, senza dover fare varianti urbanistiche. L’uso temporaneo, in accordo con il Comune dove insiste il fabbricato, che si limita a controllare l’assenza di abusi, può avere una durata dai 3 ai 5 anni e può ospitare centri ricreativi, spazi di co-working, sale da ballo, centri per l’ippoterapia, scuole private e molto altro. A San Donà di Piave, in provincia di Venezia, è stato fatto un contratto test tra Comune e privati per sperimentare la norma. «Il Veneto è apripista in questo senso – spiega l’avvocato Bruno Barel, esperto di diritto internazionale ed europeo, amministrativo, urbanistico, immobiliare e civile, che ha contribuito alla stesura del testo normativo -. Ma non ci sono solo i capannoni riutilizzabili, ci sono anche molte realtà non manutenute, cadenti, destinate a non poter essere riconvertite». «Per queste – continua Barel – ci sono altre soluzioni, come le demolizioni; è necessario però superare la barriera psicologica di chi è convinto che tanto volume corrisponda a tanto valore. In realtà corrisponde solo a tanti costi, di tasse e di manutenzione».
In questo senso è ancora la Regione a dare un aiuto, con l’incentivazione alla demolizione: per il 2018 il Veneto mette a disposizione 200mila euro in un fondo di co-finanziamento nel caso di distruzione di un fabbricato. Mentre sono allo studio bandi pubblici e una sorta di inventario di chi offre spazi e di chi li cerca, per far incontrare domanda e offerta. Una terza via di riqualificazione è rappresentata dai crediti edilizi, che consentono, all’interno dello stesso comune, la mobilità orizzontale della volumetria, cioè lo spostamento di cubatura demolita.